Repubblica 5.10.18
Il reddito di cittadinanza
Una certa idea di povertà
di Chiara Saraceno
Che
siano 8 o 10 i miliardi che alla fine saranno destinati al reddito di
cittadinanza, si tratta sempre di una cifra di gran lunga superiore a
quanto nessun governo italiano abbia mai impegnato per il contrasto alla
povertà. Si avvicina molto a quanto è stato stimato necessario per
portare tutti coloro che si trovano in povertà assoluta (i cinque
milioni di persone di cui si parla, che includono anche oltre un milione
di stranieri regolari) al livello della soglia che la identifica. Anche
se è molto meno di quanto sarebbe necessario per coprire tutti coloro
che si trovano in povertà relativa, sarebbe una buona notizia.
Chi
si scandalizza per l’entità dell’impegno di spesa dovrebbe piuttosto
farlo per quella, quasi analoga, impegnata per garantire l’abbassamento
dell’età della pensione ad un numero molto più ridotto di persone — 400
mila si stima — che non solo non si trovano in stato di bisogno, ma
rappresentano un gruppo relativamente privilegiato, spesso con speranze
di vita più lunghe sia di chi è povero, sia di chi, lavoratore o
lavoratrice, non potendosi permettere di prendere una pensione esigua o
non avendo ancora maturato l’anzianità contributiva richiesta, dovrà
invece continuare a lavorare anche in condizioni pesanti. O per il
condono fiscale, contrabbandato per pace fiscale a spese dei
contribuenti onesti.
Lo scandalo, a mio, parere, sta nel modo in
cui Di Maio, Castelli e compagni stanno ridefinendo il cosiddetto
reddito di cittadinanza. Dopo avergli dato un nome che, intenzionalmente
o meno, consentiva fraintendimenti — un reddito dato a tutti, in modo
incondizionato — ora si ripromettono di trasformarlo in uno strumento
non solo, come era già dall’inizio, selettivo, cioè destinato ai poveri,
anche se con qualche confusione e incertezza su come identificarli, ma
fortemente paternalistico.
Non verrà concesso in moneta liquida,
ma su una carta di debito. Potrà essere speso solo su suolo italiano
(non sia mai che un povero comasco attraversi la frontiera svizzera per
comprarsi del caffè), in esercizi italiani (verranno esclusi Carrefour,
Auchan e simili?) e possibilmente per prodotti italiani. Non potrà
assolutamente essere speso per consumi voluttuari, immagino definiti da
apposita commissione etica, e nemmeno risparmiato. Ciò che non si spende
della somma mensile assegnata verrà perso, come i minuti e i giga dei
contratti dei cellulari.
Dietro questo approccio c’è l’antica idea
che i poveri siano inaffidabili, moralmente deboli. Lasciati a se
stessi, invece di comprare latte e scarpe per i bambini e pagare
l’affitto, si darebbero al bere e al gioco d’azzardo o alle spese pazze.
Vanno messi sotto tutela. Riceveranno reddito in cambio di cessione di
cittadinanza. Aggiungo che la scelta della carta invece del denaro
liquido, già sperimentata con il Sia (Sostegno per l’inclusione attiva) e
non del tutto superata neppure con il Rei (Reddito di inclusione), pone
anche altri problemi. Lascia tutto il potere di spesa al titolare della
carta, a detrimento degli altri componenti adulti della famiglia.
Espone all’umiliazione di vedersi rifiutati alcuni prodotti alla cassa
del supermercato. Molti piccoli negozi, specie nei paesi, non hanno il
bancomat.
Lo stesso vale per molte persone, specie tra i più
poveri. Anche impedire di risparmiare in vista di spese future — ad
esempio scarpe per i figli, una nuova cucina a gas, la riparazione del
motorino con cui si va a lavorare, un regalo — contrasta con l’obiettivo
di aiutare le persone e le famiglie a gestire il proprio bilancio, a
programmare, quindi anche a risparmiare. Così si trasformano i poveri
non in cittadini, ma in consumatori forzati sotto tutela.