giovedì 4 ottobre 2018

Repubblica 4.10.18
Petro Poroshenko
"Ministro Salvini venga nel Donbass a vedere l’inferno causato da Putin"
di Pietro Del Re


KIEV "Vorrei tanto portare Matteo Salvini nel Donbass. Gli farei vedere le scuole e i mercati bombardati dai russi, i bambini morti, ma anche gli orfani e le vedove di guerra, le città distrutte, e sono certo che allora capirebbe quanto sono necessarie le sanzioni contro Mosca», dice il presidente ucraino Petro Poroshenko, eletto quattro anni fa sull’onda della protesta di Maidan che avvicinò il Paese all’Unione europea e che adesso tutti chiamano "la rivoluzione della dignità".
Poroshenko, 53 anni e un passato da industriale del cioccolato, ci riceve nell’imponente Bankova, il palazzo dell’amministrazione presidenziale che nel secolo scorso ospitò sia la sede del Partito comunista sovietico sia, durante l’occupazione tedesca, quella del comando del Reich.«Temo, infatti, che il vostro ministro degli Interni non sia a conoscenza della profondissima tragedia che per colpa del Cremlino sta vivendo l’Ucraina».
Che cos’altro gli direbbe?
«Che i valori sono sempre più importanti dei soldi. E che è meglio rispettare i propri impegni con l’Unione europea che fare affari con la Russia. Il mio Paese è da quattro anni l’obiettivo dell’aggressione di Mosca, con soldati russi che sul nostro territorio uccidono i nostri soldati e i nostri civili. Una violazione della legge internazionale così brutale, che ha già provocato undicimila morti, dovrebbe far insorgere ogni uomo politico che si rispetti. A Salvini potrei anche raccontare le spaventose condizioni in cui vivono gli ucraini detenuti nelle prigioni russe o le persecuzioni contro i 350mila tartari della Crimea che non hanno accettato il passaporto russo dopo l’illegale annessione di Mosca».
Gli direbbe anche che Vladimir Putin è il diavolo?
«Vladimir Putin non è il diavolo. È soltanto un imperatore che vuole inglobare il mio Paese senza neanche chiedere un parere al mio popolo. Ipotizziamo che domani volesse fare la stessa cosa con la Sardegna. Potrebbe organizzare un falso referendum e dichiarare che l’isola è diventata improvvisamente russa. Ogni italiano lotterebbe allora per riaverla indietro, e avrebbe ovviamente il sostegno del mondo intero. Allo stesso modo io mi aspetto che tutti, compresa l’Italia, si battano contro l’occupazione militare russa del mio Paese. Noi non chiediamo soldati. Chiediamo soltanto che l’Unione europea rimanga compatta al nostro fianco, perché restare uniti è il solo modo per essere più forti. Vede, nel Donbass non difendiamo solo la nostra sovranità nazionale: siamo anche l’avamposto democratico dell’Europa contro le mire di Mosca».
Ma le sanzioni funzionano?
«Sì, perché nonostante l’aumento del prezzo di gas, l’economia russa ristagna e il potere d’acquisto dei russi continua a diminuire. Ora, queste sanzioni non sono una punizione, ma il solo meccanismo per mantenere la Russia al tavolo del negoziato nel tentativo di far riottenere all’Ucraina i territori occupati».
Teme un’ingerenza russa alle presidenziali ucraine del prossimo marzo, com’è forse accaduto durante le elezioni americane di due anni fa?
«No, perché l’Ucraina è adesso un Paese profondamente unito e perché stiamo facendo di tutto per impedire che la Russia rovini la nostra democrazia adoperando metodi democratici. Lo stesso devono fare gli altri Paesi dell’Unione per evitare che Mosca usi armi o sofisticate tecnologie per compromettere la stabilità europea. Basterebbe citare quello che è accaduto pochi mesi fa a Salisbury, in Gran Bretagna, dove un ex colonnello dei servizi di Mosca e un suo complice non ancora identificato hanno lanciato un attacco chimico con un agente nervino, la sostanza più velenosa al mondo. Lo stesso discorso vale per il razzo russo sparato dai territori occupati del Donbass che ha centrato il volo 17 della Malaysia Airlines uccidendo 290 civili di 14 nazioni diverse. Viste le smodate ambizioni di Putin è necessario che tutti i Paesi europei si preoccupino di proteggere la loro sicurezza nazionale».
Gli analisti internazionali l’accusano, dopo quattro anni alla presidenza dell’Ucraina, di non essere riuscito a debellare la corruzione.
«Mi sembra che il bilancio di quanto abbiamo fatto con il mio governo e la mia coalizione in parlamento sia piuttosto positivo. A cominciare dalle tante riforme realizzate, senza contare la creazione di un esercito che in passato era stato totalmente distrutto dalla Russia. Per citarne solo alcune, abbiamo riformato le pensioni, la sanità, la distribuzione delle risorse e la giustizia. Abbiamo anche avviato una profonda decentralizzazione e delle sia pur impopolari privatizzazioni.
Abbiamo, infine, messo in piedi un codice anti-corruzione e squadra anti-corruzione. Secondo il Fondo monetario internazionale, tra i Paesi emergenti, siamo quello che ha raggiunto il massimo successo.
In questi ultimi anni abbiamo però conseguito anche un altro risultato fondamentale, tornando a far parte della famiglia europea e affrancandoci dalla Russia che vorrebbe ancora considerare l’Ucraina una sua colonia e gli ucraini suoi vassalli. Ora, abbiamo fatto tutto ciò nonostante la guerra nel Donbass».
E la guerra quanto costa in termini economici?
«Solo per la Difesa spendiamo l’equivalente del 6% del Pil. È poi diminuito il 25% delle nostre esportazioni, perché nei territori occupati dell’Ucraina orientale si trova il 30% del nostro potenziale industriale. Inutile dirle del disastro economico e umanitario che funesta quelle regioni, con un tasso di disoccupazione che sfiora il 60%, con il 20% dei bambini che non va a scuola e con gran parte della popolazione che non ha diritto alle cure mediche. Nel Donbass occupato si contano, inoltre, centomila detenuti su una popolazione di 3 milioni di persone. Un altro milione e mezzo di ucraini russofoni è fuggito verso occidente, spaventato all’idea di finire un’altra volta sotto il governo di Mosca.
L’abbiamo accolto, gli abbiamo trovato un alloggio e un lavoro».