giovedì 4 ottobre 2018

La Stampa 4.10.18
Macedonia, il sovranismo gioca a favore della strategia russa nei balcani
di Giancarlo Loquenzi


In Italia, distratti come siamo da molte altre cose, non ha ricevuto molta attenzione il referendum in Macedonia. E invece dovrebbe perchè parla anche a noi. Dopo un contenzioso lungo decenni tra la Grecia e la Repubblica di Macedonia che si contendono il nome e con esso gli onori per aver dato i natali ad Alessandro il Macedone, nel giugno scorso si era finalmente giunti ad un accordo.
La Macedonia avrebbe adottato il nome di «Repubblica della Macedonia del Nord» e la Grecia (che ha una regione che si chiama Macedonia con capitale Salonicco) avrebbe rimosso il suo decennale veto all’ingresso di Skopje nell’Unione Europea e nella Nato. Tutti si aspettavano che i cittadini macedoni avrebbero festosamente imboccato l’ingresso nella comunità occidentale.
Domenica scorsa si è votato e le cose sono andate un po’ diversamente. Il sì all’accordo ha raggiunto oltre il 90 per cento con il no fermo ad un misero 5,7 per cento, ma il quorum del 50 per cento più uno è stato mancato alla grande: solo il 37 per cento di macedoni è andato a votare. Sull’astensione ha influito una potente campagna capeggiata dal presidente della Macedonia, il nazionalista, Gjeorge Ivanov che aveva definito l’accordo «un suicidio storico».
Nella miscela della sconfitta non sono mancate accuse alla Russia per aver promosso e finanziato posizioni contro l’asse euro-atlantico. Il segretario alla Difesa americano Jim Mattis, durante una visita a Skopje in settembre aveva detto di non avere dubbi sull’influenza russa nella campagna elettorale, e la Grecia aveva espulso due diplomatici di Mosca accusati di fomentare sentimenti nazionalistici nel Paese. Vladimir Putin, che guarda ai Balcani come al giardino di casa, ha smentito ogni accusa ma deve certamente aver festeggiato la virata anti-Nato e anti-Ue della Macedonia.
Il Paese discuteva da anni dell’aprirsi di una prospettiva europea: in essa erano inclusi crescita economica, benessere, un maggiore ruolo internazionale, libero accesso ai mercati (la Grecia ha posto un embargo sulle merci macedoni) e un’infinita serie di altre meraviglie. Tutti o quasi i leader europei avevano allargato le loro braccia al nuovo venuto, fors’anche in modo un po’ troppo vociante. Sembrava una vittoria facile, un posto dove far sventolare alta la bandiera europea mentre altrove viene ammainata e derisa. Invece è stata un sconfitta. I macedoni hanno preferito tenersi stretto il loro nome, i loro confini, le loro radici e anche Alessandro Magno. L’apertura mette paura; la tradizione, le frontiere, i nomi, i miti, i simboli rassicurano.
Maneggiare allegramente tutta questa materia incandescente porta male. E’ qualcosa con cui anche i partiti liberali, globalisti, europeisti, devono imparare a fare i conti. Non sono favole, superstizioni da scacciare con un’alzata di spalle e il sussiego di chi guarda solo al futuro, perché pesano nelle urne e cambiano i destini delle nazioni. Lasciare simboli e radici interamente in mano a nazionalisti e sovranisti come fosse roba infetta, trasforma in nemici chi non ha che quello, e sono tanti.