lunedì 29 ottobre 2018

Repubblica 29.10.18
Intervista allo scrittore ebreo-statunitense Nathan Englander
"Violenza, paura, razzismo dietro l’odio di Pittsburgh c’è un’America al collasso"
di Anna Lombardi


Di che cosa stiamo parlando
Sabato mattina, durante la preghiera dello Shabbat, un uomo poi identificato come Robert Bowers, 46 anni, è entrato all’interno della sinagoga Tree of Life di Pittsburgh armato di fucile automatico e pistole e ha fatto strage di fedeli uccidendo 11 persone e ferendone altre sei. Il più grave attacco antisemita della storia d’America è avvenuto a dieci giorni dalle elezioni di midterm in un clima di avvelenata campagna elettorale.

NEW YORK Ero a Pittsburgh, proprio nel quartiere dov’è avvenuta la strage, solo il giorno prima. Ho passato l’intero sabato sera a cercare di capire se le persone che ho conosciuto lì erano vive: sono sconvolto». La voce di Nathan Englander s’incrina. Lo scrittore newyorchese, 48 anni, che ha raccontato al grande pubblico l’esperienza ebraico-americana in libri come Il ministero dei casi speciali e Di cosa parliamo quando parliamo di Anna Frank, è appena atterrato a New York per prendere una pausa dal tour del suo ultimo romanzo, Una cena al centro della Terra, in Italia pubblicato da Einaudi. «Dopo quel che è successo avevo bisogno di tornare dalla mia famiglia».
L’attacco di Pittsburgh è il più devastante mai compiuto verso la comunità ebraica d’America.
Cosa sta risvegliando l’antisemitismo?
«In America l’odio antiebraico c’è sempre stato. Mia madre, convinta che ci sarebbe stato un nuovo Olocausto, ci ha cresciuti nella paura: anche se vivevamo a Long Island, New York. Ricordo bambini in bici sotto la nostra finestra che inneggiavano a Hitler.
L’umiliazione della svastica disegnata sulla nostra porta una mattina di Halloween. Le volte che ho fatto a botte reagendo agli insulti. Oggi le cose sono cambiate: i giovani indossano senza paura i simboli della fede. Ma dopo il balzo progressista che la società americana ha fatto con Barack Obama oggi c’è chi vorrebbe fare 20 passi indietro».
Le elezioni imminenti contribuiscono al clima di odio?
«Ieri Donald Trump, che non si è nemmeno preso la briga di sospendere per qualche ora la campagna elettorale, ha condannato violenza e antisemitismo. Ma subito dopo ha attaccato i democratici facendo i nomi di Hillary Clinton ed Elizabeth Warren: persone a cui un suo sostenitore ha mandato bombe solo tre giorni fa. Le ha trasformate in obiettivo di odio. E questo è irresponsabile»
Ecco: 14 pacchi bomba ad altrettanti leader democratici, 11 morti a Pittsburgh. E in Kentucky un bianco ha tentato di irrompere in una chiesa afroamericana dopo aver ucciso due neri. Che cosa sta succedendo in America?
« L’America è arrivata al collasso.
Quando si incita alla violenza è questo che succede. L’odio non viene dal nulla. E si somma all’emergenza nazionale legata alla diffusione delle armi. Un problema che c’è sempre stato ma che si aggrava man mano che le armi diventano più moderne».
Il killer non era un sostenitore di Trump, anzi: lo accusava di essere amico degli ebrei…
«Ormai ciascuno ha la sua narrativa a secondo del canale che segue o del social che frequenta.
C’è molta confusione riguardo a quel che fa Trump. All’interno alleato con suprematisti e neonazi. Ma amico di Israele quando si tratta di politica estera. La confusione c’è anche nella comunità ebraica americana: divisa fra chi sostiene Trump per il riconoscimento di Gerusalemme e chi lo teme per quel che disse un anno fa dopo la marcia dei suprematisti a Charlottesville».
Prima della strage quell’uomo aveva farneticato su un’invasione di migranti alle porte.
«Anche per questo dobbiamo cambiare narrativa. Pittsburgh non è solo un attacco antisemita. È un attacco a cittadini americani di fede ebraica. Una delle tante comunità sotto attacco. La mia famiglia è in America da cinque generazioni: più di quella di Trump. Sono attacchi all’America. E partono dal vertice: da chi contribuisce con le sue parole a propagare quell’odio che poi le semplificazioni dei social trasformano in radicalismo».
Trump ora invoca la pena di morte.
«Un modo per far passare quella gente come pazzi isolati. Una negazione della realtà come quella che la diffusione delle armi non c’entra. Ma come può essere normale che il killer avesse legalmente 21 pistole a nessuno lo controllava?».
Lei ha vissuto a lungo in Israele: dove, ha raccontato, si convive talmente con la paura da accettarla come parte normale della vita. Accadrà anche qui?
«Ieri mi ha scritto un parente da Gerusalemme per chiedermi se stavo bene. Di solito sono io a mandargli quel tipo di messaggi, mi ha colpito. Ma ormai anche da noi nei luoghi di culto, nelle scuole, la gente impara come mettersi in salvo in caso di attacco armato».
Dov’era in quelle ore terribili?
«Al Jewish Book Festival di Rochester. Presidiato dalla polizia come non avevo mai visto. Se fosse stato un evento solo mio lo avrei cancellato. Abbiamo cercato di trasformarlo in un momento per stringerci e riflettere. Quello a cui assistiamo è un rigurgito di antisemitismo, certo. Ma radicato in un clima di odio che riguarda tutti».
Il sangue di tanti innocenti peserà sul risultato del voto?
«Non voglio pensare a quelle vittime in chiave elettorale. Io voterò. E spero che tanti lo faranno. Scegliendo valori di tolleranza ed empatia. Per tornare a essere una democrazia funzionale, dove non ci si accusa reciprocamente. Non si vive nel terrore che aveva mia madre. Dove davanti a qualcosa di terribile la gente è unita. Più forte della paura».