Repubblica 29.10.18
La strage di Pittsburgh
L’uomo bianco semina l’odio
di Vittorio Zucconi
E
arriva il giorno nel quale si scopre che il nemico siamo noi e contro
di noi siamo disarmati. In 72 ore della scorsa settimana, " bravi
ragazzi" bianchi e americanissimi fanno strage di americani bianchi e
americanissimi come loro in una sinagoga di Pittsburgh, abbattono a
freddo due clienti afroamericani in un supermarket del Kentucky,
spediscono lettere bomba a personalità ed ex presidenti del Partito
democratico e non ci sono alibi di fanatismo religioso, ombre di
diabolici sceicchi, complotti di servizi deviati per spiegare. C’è
soltanto il frutto sanguinoso dell’albero dell’odio, che torna
rigoglioso, concimato dal cinismo del nazional- populismo razzista.
Non
ci sono risposte militari o poliziesche capaci di fermare il terrorista
fra di noi, perché nessuno di questi stragisti che fanno massacri da un
hotel di Las Vegas, che irrompono in una chiesa di Charleston e
uccidono nove fedeli di colore, che falciano almeno undici vite in una
sinagoga per punire gli ebrei « che finanziano e profittano
dall’immigrazione clandestina», sono i vicini, i commessi dei negozi, i
militanti ai comizi. Uomini, sempre uomini per ora, che vivono al
confine sottilissimo fra la passione politica e la patologia mentale,
oltre il quale li spinge la predicazione del suprematismo razziale e
della demonizzazione dei diversi da loro.
Il solo antidoto
efficace, anche se non istantaneo, non sono le guardie armate che Donald
Trump vorrebbe piazzare in ciascuno dei 350 mila luoghi di culto,
chiese, moschee, sinagoghe, aperti negli Stati Uniti, trasformando
istituzioni di accoglienza e di fraternità per definizione in campi
armati, tra giaculatorie e Kalashnikov. Non si possono pattugliare
miliardi di farneticazioni scritte sui social network, dove spesso il "
nostro" terrorista esterna il proprio odio, perché sarebbe fisicamente
impossibile interrogare di persona i milioni di individui che esprimono i
propri rancori in un momento di ira.
L’antidoto si trova al
numero 1600 di Pennsylvania Avenue, alla Casa Bianca, dove risiede per
almeno quattro anni la persona alla quale la nazione affida, in una
funzione insieme amministrativa e mistica, la cura dell’unità nazionale e
della coesistenza fra culture ed etnie diverse incardinata nella Bibbia
laica, la Costituzione. Ma in questo 2018, l’antidoto è divenuto il
veleno. E il custode del tempio dell’American religion è quel Trump che
ha fatto del settarismo più sfacciato lo strumento del proprio successo.
Il candidato incendiario, che ha messo a ferro e fuoco gli avversari
invocando cori di «mettetela in galera» contro la sua avversaria, che
usa espressioni staliniane definendo la libera informazione «nemici del
popolo», non risulta molto credibile quando si presenta come infermiere
nella settimana di sangue.
Non è stato certamente Trump a seminare
la pianta dell’odio suprematista né della violenza politica, che non è
affatto nuova né sconosciuta nella storia di una repubblica che ha
visto, e continua a vedere, il ribollire di tentazioni violente. Gli
Stati Uniti come li conosciamo oggi nascono, dopo la rivoluzione e
l’indipendenza, da un bagno di sangue fratricida che costò 650 mila vite
e impedì la secessione. Il rifiuto dell’eguaglianza razziale produsse
il Ku Klux Klan e migliaia di linciaggi e assassinii, come la rivolta
armata era l’ideale delle Black Panther e il dissenso politico a volte è
a portata di mano come il fucile Mannlicher- Carcano imbracciato da Lee
Harvey Oswald, Né è prerogativa della destra, essendo stato un fan di
Bernie Sanders l’uomo che sparò due anni or sono al deputato
repubblicano Scalise, mentre giocava a baseball.
Ma quando il
culto del nazionalismo diventa l’instrumentum regni, quando la nostalgia
per un’America bianca ed etnicamente omogenea dove gli immigrati sono
"stupratori e spacciatori" e i neri sono "mangiatori a sbafo" esce dai
saloon e dalle roulotte dove viveva uno dei terroristi ed entra alla
Casa Bianca, la violenza si sente legittimata, il razzismo si fa linea
politica mainstream. E il Presidente perde quella funzione rassicurante
che nei momenti più tragici dovrebbe assumere. Il «rimboccare le coperte
dell’America al momento di dormire», come diceva Ronald Reagan, che
sapeva muoversi fra la politica di parte e il ruolo semi paterno del
Capo della nazione.
Trump non ha inviato bombe o tirato raffiche
in sinagoga. È prigioniero della trappola che è stata la rampa di lancio
del suo successo, quella del populismo del rancore oggi rampante
ovunque, della collera degli sconfitti che bevono la predicazione
violenta contro gli " altri", causa di tutti i loro mali, gli immigrati,
i non bianchi, i "vermi" progressisti, i negatori della ( mia) vera
fede, i gay, gli immancabili ebrei alfa e omega del razzismo, ma quando
arrivano al governo scoprono che gli " altri" esistono. Che non sono
stati cancellati con qualche scheda elettorale. Che il nuovo pontefice
laico deve governare anche per loro e non si può amministrare una
nazione "contro" l’altra metà.
I pazzi non sono coloro che
impugnano le armi o spediscono ordigni, perché nella loro azione c’è il
segno della coerenza: se l’avversario è il "Male", come disse Trump, il
Male va soppresso. Il pazzo, o meglio l’irresponsabile, è colui che
scioglie i cani rabbiosi dell’odio e del fanatismo e poi si meraviglia
se non tornano più docili a cuccia.