Repubblica 28.10.18
Giordano Bruno remix
Perché il grande
monaco nolano è stato messo al rogo quando era pronto a ritrattare?
Quale minaccia politica celava il suo neoplatonismo? Che ruolo ebbero le
chiese riformate e le lotte dinastiche di fine Cinquecento?
di Marco Bracconi
Perché
il grande monaco nolano è stato messo al rogo quando era pronto a
ritrattare? Quale minaccia politica celava il suo neoplatonismo? Che
ruolo ebbero le chiese riformate e le lotte dinastiche di fine
Cinquecento? Una nuova lettura rimischia le carte in tavola: e il
processo, signori, è da rifare
17 febbraio 1600, benvenuti nel
cuore della Controriforma e nel mistero di una morte che non smette di
interrogarci con i suoi lati oscuri. È questo infatti il giorno fatidico
in cui vanno in fumo corpo e anima di Giordano Bruno, condannato al
rogo dopo otto anni di detenzione, ed è qui l’epilogo di un secolo
dilaniato da conflitti religiosi, eresie e guerre di successione. Fede e
filosofia, scienza e idea della natura, modernità e ancien régime: la
sfida è aperta, aspra e spesso mortale, e la sorte del filosofo degli
infiniti mondi lo dimostra al punto da essere diventata, nella
contemporaneità, simbolo, icona, paradigma. Vulgata, anche, la stessa
che nel tempo ci ha consegnato l’idea di un intellettuale fermo al punto
di ostinarsi, in nome della propria verità, a rinunciare alla propria
vita. Ma è così che sono davvero andate le cose?
Fino a un certo
punto, e con un corposo saggio dal titolo Io dirò la verità lo storico
Germano Maifreda si incarica di dimostrarcelo, ricostruendo uno scenario
complesso e avanzando ipotesi suggestive quanto inevitabilmente aperte.
Attingendo
alle più diverse fonti, dai documenti del Sant’Officio ai conti delle
carceri pontificie, l’autore ci dice che per far luce su quel corpo in
fiamme non si può prescindere dallo scenario di un’Europa alla
spasmodica ricerca di nuovi equilibri, pullulante di trame e intrighi:
sono gli anni del Navarra che diverrà Enrico IV, di Filippo II in
Spagna, dei pontefici che si succedono rapidamente fino all’avvento di
Clemente VIII; tempi di caccia all’eresia che però non bastano a
spiegare il destino di quel domenicano intriso di platonismo e
mnemotecnica, viaggiatore instancabile, frequentatore di luterani e
calvinisti. Perché Giordano Bruno, disponibile all’abiura come già era
accaduto in passato, e fino a poco prima impegnato nella stesura di
memoriali diretti agli accusatori, sceglie all’improvviso la sorte di
martire et volentieri? E che ruolo ha nello svolgimento del suo processo
lo scontro sordo tra Clemente e Giulio Antonio Sartori, il Grande
Inquisitore?
Per Maifreda qualcosa non torna, e va addebitato a
connessioni e dettagli finora trascurati dalla storiografia. Se il
diavolo — nome omen — si rintraccia nei particolari, ecco allora
emergere una figura ambigua e sfuggente, quel frate da Verona di nome
Celestino eretico ma "protetto" dal Sant’Officio che Roma cattolica dirà
di aver mandato al rogo pochi mesi prima di Bruno e che invece, forse, a
quella catasta non fu mai allacciato.
È lui, Celestino, a dare
sostanza giuridica con la sua denuncia a una azione fino a quel momento
sostenuta da un unico testimone; è sempre lui a ricomparire nelle celle
dove Bruno sta scrivendo il suo ennesimo memoriale, nei decisivi mesi
prima del verdetto. Senza formulare teoremi, Io dirò la verità
non
nasconde la tesi: è da queste parti che va cercata la ragione delle
anomalie procedurali e delle incongruenze che condussero un uomo
disposto al compromesso — magari di facciata — a congiungersi al suo
destino di martire. Perché sta nelle coincidenze che in questo caso non
sono tali l’innesco che portò all’incendio di un corpo e di un obiettivo
visionario ma tutto politico, al quale Giordano Bruno aveva continuato a
lavorare fino all’ultimo: la pace religiosa, niente di meno, un nuovo
mondo tra gli infiniti mondi che il suo pensiero aveva partorito. Tra
ordini monastici, lettere anonime e sostituzioni di persona Maifreda non
risolve l’enigma, ma ci consegna una figura più coerente al gioco di
potere del suo tempo, illustrando tra le righe ma con esattezza cos’era e
come funzionava l’ingranaggio inquisitorio della Controriforma, le sue
procedure e le sue eccezioni. Quella eccezione che non toccò il Nolano
ma avrebbe potuto farlo, se la giostra dei poteri avesse girato in
direzione ostinata, ma non contraria.