Il Sole Domenica 28.10.18
Neuroscienze
C’è qualcosa nella mente che non c’è nel cervello
di Francesca Rigotti
Dov’è
localizzata la mente e che relazione ha col nostro corpo? La mente è
diversa dal cervello o sono la stessa cosa? C’è qualcosa nella mente che
non c’è nel cervello? Ce lo chiediamo oggi come se lo chiedevano nel
passato Descartes e Hobbes, Cavendish e Vico, per non citare che i
quattro filosofi «esemplari» scelti da Hustvedt per aiutarla ad
articolare domande e dubbi sul tema, e il cui pensiero viene
dall’autrice intrecciato con le più recenti teorie dell’informazione e
della computazione, senza trascurare le loro propaggini
fantascientifiche.
Siri Hustvedt, scrittrice, poeta, saggista e
studiosa di neuroscienze ampiamente tradotta in lingua italiana, nata
negli Stati Uniti da madre norvegese e padre nordamericano divenuto egli
stesso cultore della lingua e della cultura della Norvegia, mette qui
in rilievo, con grande acutezza d’ingegno e giocando con «scienza,
psicologia, arte, letteratura e vita» (dalla quarta di copertina), la
constatazione bizzarra di come i vecchi problemi di monismo e dualismo,
mente e corpo, continuino a riproporsi nella ricerca scientifica come
pure nell’opinione pubblica.
L’ideologia transumanista della
«singolarità» (nozione che rinvia all’idea che a un certo punto
dell’evoluzione della robotica e dell’intelligenza artificiale gli umani
saranno superati e sostituiti da macchine autonome, o, per meglio dire,
dalla comparsa di una coscienza e intelligenza globale migliaia di
volte superiori a quella dell’umano attuale) riposa per esempio su un
materialismo che riduce la coscienza umana a riflesso meccanico del
macchinario cerebrale, come se il mistero della libertà e della
creatività umana potesse essere ridotto all’attività di macchine capaci
di passare il famoso test di Turing: grosso modo un test che dice che un
umano in dialogo con un calcolatore non sarebbe più in grado di sapere
se dialoga con un altro umano o con una macchina, tanto le risposte di
quest’ultima saranno appropriate e inventive.
In tali ambienti il
dualismo mente/materia è nettamente minoritario e la pretesa di
specificità umane è ritenuta una posizione retrograda e reazionaria. La
teoria computazionale della mente sostiene infatti che la mente umana
funziona letteralmente (non metaforicamente!) come un computer che
elabora informazioni, e che l’intelligenza si riduce a elaborazione di
simboli dal momento che la mente è un computer. Come dire, osserva
Hustvedt, che per essere compresa la mente aveva bisogno che la macchina
venisse inventata...
Interrogandosi all’ombra continua del
dubbio, e cercando grazie al dubbio ben articolato di distruggere le
illusioni (le «delusioni», dice però il titolo originale!) della
certezza, Hustvedt interviene sulla questione di come corpo e anima,
cervello, mente, psiche, interagiscano tra di loro, tema che ha ripreso e
sviluppato nel suo intervento di giugno al Festival di Filosofia di
Colonia (Phil. Cologne 2018). Riesce difficile, qui sta il suo dubbio,
comprendere come un computer possa sentire stati emotivi come noia e
tristezza, e non limitarsi a simularli. Le simulazioni della vita sono
la vita? Per l’Intelligenza Artificiale (almeno nella sua forma GOF,
Good Old Fashioned) il provare noia, piacere o paura può trasformarsi in
un processo razionale traducibile in simboli inseribili nel computer.
Eppure dubitiamo che sia facile infilare le emozioni che provengono dai
nostri corpi organici, umidi e pieni di umori – sangue, urina, lacrime,
sudore, muco, feci – nel metallo asciutto e nei circuiti secchi dei
transistor.
L’immagine della umidità del cervello umano e della
fluidità corporea è la metafora guida di Hustvedt; nel seguirla,
l’autrice si inserisce nel filone di pensatrici e pensatori che
individuano, tra le specificità della mente umana, il linguaggio, coi
suoi fattori ineffabili come l’ironia, e con la sua capacità di creare
immagini e collegamenti mentali e soprattutto metafore, meccanismi di
traslazione in cui le parole significano una cosa in un contesto e
un’altra altrove. In questo accorgendosi dell’importanza di Giambattista
Vico, invece ignorato, quanto inconsapevolmente (forse) copiato, da
Lakoff e Johnson nella loro teoria della metafora che mette in rilievo
il valore del corpo nel pensiero, lo stesso valore esaltato da Hustvedt.
Le illusioni della certezza, Siri Hustvedt Einaudi, Torino, pagg. 288, € 21