Repubblica 26.10.18
Cure omeopatiche per l’anima
Cercare la bellezza nonostante tutto
di Michela Marzano
È
dai tempi di Platone e Aristotele che la filosofia si interroga sulla
bellezza e cerca di capire se tratti di qualcosa di oggettivo o di
soggettivo, di una scoperta o di un’invenzione. Esiste un legame tra il
"bello" e il "vero" oppure, come ha mostrato Umberto Eco nella sua
Storia delle bellezza, è illusorio immaginare che la bellezza sia
qualcosa di assoluto e di immutabile? È bello "ciò che è bello" o è
bello "ciò che piace"?
Nel suo ultimo saggio, La via della
bellezza, il teologo e filosofo Vito Mancuso non ha dubbi: la bellezza
non è mai una semplice invenzione, ma la via privilegiata per capire il
senso e il valore della nostra vita. Nonostante l’essere umano sia
caratterizzato dalla finitezza della propria condizione, non può
d’altronde non essere consapevole dell’infinito che lo circonda.
Nonostante a livello estetico alcune persone non siano belle, la bontà,
la giustizia, l’intelligenza, la generosità e il coraggio «conferiscono
luce al volto di chi li ospita rendendolo bello». Nonostante alcuni di
noi possano restare indifferenti davanti allo spettacolo della bellezza,
la lucentezza del reale risuona quando ci si apre allo splendore degli
eventi. La bellezza è dunque un’epifania, è la bussola necessaria per
orientare il cammino di ciascuno di noi verso la verità, e gioire al
cospetto di quelle opere e di quegli eventi che ci «stringono il cuore»,
salvandoci dai due pericoli mortali che incombono sulla nostra anima:
il vuoto nichilistico e l’assenza di significato da un lato, e la
volontà di potenza e la sete di dominio e di oppressione, dall’altro.
Citando
sapientemente sant’Agostino e Tolstoj, Aristotele e Schopenhauer,
Platone e Dostoevskij, Kant e Nietzsche, Vito Mancuso mostra come
l’essere umano sia fatto per la bellezza e dalla bellezza. A condizione
però che si concentri sulla propria dimensione spirituale e non si lasci
andare all’indifferenza o al superfluo. «La bellezza è da sempre con
l’uomo perché è armonia. Più precisamente essa è l’armonia della
relazione in quanto logica del mondo, ciò che informa l’essere
inizialmente caotico facendo sì che produca enti ordinati». Ecco perché è
sempre e solo l’armonia che ci permette di produrre la bellezza
nell’arte, di agire secondo giustizia nel diritto, di ricercare il bene
comune nella politica, e di unire la nostra anima al senso del mondo
nella religione. Ma com’è possibile parlare di bellezza e di armonia, si
chiede Mancuso, quando le si confrontano con le sofferenze e il dolore?
Non è questa l’obiezione più grande di fronte alla quale ci si trova
quotidianamente? Con grande onestà, Vito Mancuso riconosce che di fronte
al dolore la teoria viene meno, e restano solo le opzioni esistenziali e
le pratiche di vita. Ma rivendica anche una forma di «ottimismo
tragico»: «La nostra vita costa, ma io penso sia bello lavorare al
servizio dell’armonia, del bene e della giustizia, di una bellezza che
genera passione, vitalità, direi anche sensualità». Se il mondo non
fosse così bello, nessuno si lamenterebbe d’altronde delle ingiustizie
cui pure si assiste, tutto sarebbe secondo copione.
Affermare la
bellezza non significa smettere di vedere il male attorno a sé,
significa solo «non lasciarsi privare dell’incanto del contatto con il
bello».
La bellezza non è mai la meta cui giungere, è sempre la
via. Anche semplicemente perché la vita ci attraversa e la si può
sperimentare solo mentre la si vive. Ma il dono supremo dell’umanità,
come dice Vasilij Grossman, è proprio il dono della bellezza spirituale,
quella che sorge laddove l’ego si mette da parte lasciando spazio
all’autenticità dell’io. Come rapportarsi però alla bellezza
dell’umanità quando si è circondati dallo squallore? Come contribuire ad
alimentarla?
All’epoca del nichilismo incombente, per Mancuso,
occorre che ognuno di noi percorra il sentiero su cui è stato collocato —
ognuno di noi è quello che è a causa di un complicato impasto di
destino e di scelte — camminando sempre sul confine, consapevole che
«nessun itinerario saprà mai contenere tutta la ricchezza
dell’esistenza». La condizione umana è d’altronde giunta a un punto tale
che o si fa un salto di qualità «diventando più spirituali, più veri,
più buoni, insomma più belli» oppure l’esistenza sarà sempre più vuota e
depressa. Fino alla conclusione: «La mia tesi è la seguente: affermare
la centralità della bellezza significa sostenere una spiritualità
omeopatica. Essa consiste nel ritenere che la salvezza scaturisce da
dentro di noi, precisamente dall’accordo tra noi e il mondo da cui
proveniamo e di cui siamo fatti senza richiedere l’intervento di un
principio attivo a noi esterno, che il nostro organismo e la nostra
mente non conoscono […] ognuno di noi è un’opera d’arte». Per Vito
Mancuso, non si tratta di credere che la bellezza salverà il mondo, come
scrive Dostoevskij in una celebre pagina dell’Idiota, ma di battersi
affinché la bellezza salvi quel piccolo pezzo di mondo che è ognuno di
noi.