venerdì 26 ottobre 2018

Repubblica 26.10.18
La frattura tra élite ed elettori da cui nasce il populismo
di Stefano Folli


Il saggio "Perché è successo qui" di Maurizio Molinari
Non è un libro rassicurante, questo di Maurizio Molinari sulle ragioni di fondo della rivoluzione populista in Italia. Ma è assai utile come guida nei tempi che viviamo. Non è rassicurante perché evita ogni risvolto convenzionale e si affida a un linguaggio scarno, al di là di ogni pseudo-verità di comodo. Ha lo stile dell’inchiesta giornalistica e il passo del saggio basato su fatti, dati, circostanze. Molinari, oggi direttore della Stampa di Torino e in precedenza corrispondente a lungo dagli Stati Uniti e da Israele, ha appreso le regole del miglior giornalismo: quello fondato su saldi valori morali, ma anche consapevole che l’obiettività assoluta non esiste e ciò che le si avvicina di più è l’onestà intellettuale di scavare nella cronaca senza pregiudizi al fine di ricavarne una tesi generale documentata e convincente.
L’esplorazione intorno al 4 marzo, giorno delle elezioni che hanno cambiato l’Italia, diventa allora un viaggio nell’Italia di oggi e nelle sue contraddizioni. Che sono sociali ed economiche. Hanno a che vedere con le nuove diseguaglianze economiche, con la devastazione dei ceti medi a cui sono state tolte le certezze, con le paure – in primo luogo l’immigrazione e l’Islam – tipiche di un Paese dal presente confuso e dal futuro avvolto nella nebbia. Lega e Cinque Stelle, due fenomeni politici complementari ma solo in parte sovrapponibili, non vengono da Marte né rappresentano l’invasione degli Hyksos aggiornata al nuovo secolo.
Sono la fotografia di una frattura verticale tra élite e popolo; o se si preferisce tra establishment e popolo. Nonché una risposta istintiva da parte di un’Italia irritata con le forze tradizionali che hanno in sostanza fallito la loro missione in una ben determinata contingenza storica.
Per meglio dire, i due soggetti vincitori il 4 marzo, nella loro mancanza di legami con la memoria collettiva e addirittura, si può dire, estranei al patto costituzionale, rappresentano il prodotto di un mutamento in atto non solo in Italia, ma che qui ha assunto quel carattere di anteprima senza precedenti di cui già altre volte, se vogliamo risalire indietro nei decenni, l’Italia è stata protagonista: dal fascismo a Tangentopoli, volendo semplificare. E non si capisce quello che è accaduto prima del marzo 2018 se non si collocano nella giusta prospettiva i passi falsi commessi nel corso degli anni da una dirigenza politica responsabile di approssimazione, inadeguatezza e calcoli sbagliati. Fino all’esito inevitabile: rappresentarsi come "casta" privilegiata e corrotta, anziché come classe dirigente responsabile, agli occhi del cittadino comune.
Le nuove povertà non sono un’invenzione polemica, ma risultano documentate dalle indagini Istat. Il senso di insicurezza nella vita quotidiana sarà pure solo "percepito", ma è talmente diffuso – anche a causa di orribili vicende di cronaca nera – da essere ormai il principale asso nella manica di uno dei due "populismi", quello improntato a destra dalla Lega. Il bisogno di protezione sociale è palpabile. Infine la "miopia" dei partiti tradizionali: un aspetto che va oltre i nostri confini, come si è visto con il declino dei socialisti francesi e persino dei socialdemocratici tedeschi (senza contare l’appannamento dei democristiani di Angela Merkel).
Da noi però la miopia è spinta alle soglie del suicidio, come si è visto nel caso del Pd che invece di affrontare i temi cruciali della diseguaglianza e della perdita di "status" delle classi medie si è incartato per mesi in un referendum costituzionale trasformato dal premier del momento in un velleitario plebiscito personale a cui gli italiani, pressati da altri problemi, hanno risposto "no".
Conclusione: si è accesa la miccia che ha fatto esplodere il quartier generale. Ora si tratta di capire fino a che punto ha ragione Steve Bannon, l’ideologo del "trumpismo", il singolare Che Guevara che vuole esportare in Europa la filosofia politica della Casa Bianca, quando dice a Molinari che l’Italia è ormai "la forza trainante del nazional-populismo". E non c’è dubbio che l’affermazione di Trump in America ha avuto conseguenze sconvolgenti in tutto il mondo occidentale. Se le prossime elezioni nell’Unione saranno cruciali, se la scommessa di Salvini coincide con la speranza di buttare all’aria i vecchi assetti a Bruxelles, questo lo si deve in buona misura all’avvento di Trump. Come pure al nuovo mito dell’"uomo forte" incarnato da Putin e dalla sua strategia "dello scompiglio" o della destabilizzazione: per la quale tutti i mezzi sono leciti, anche l’uso delle tecnologie del web.
Era dai tempi della guerra fredda che l’Italia non si trovava così al centro dell’attenzione internazionale. Molinari decifra il rebus con freddezza, mescolando l’analisi della dimensione locale con quella del quadro mondiale di cui ha sperimentata conoscenza. In attesa che i prossimi mesi sciolgano gli interrogativi di fondo: il populismo al governo è una svolta storica o una parentesi, per quanto rilevante?