Repubblica 25.10.18
Khashoggi, i sicari venuti dal medioevo
di Bernardo Valli
È
un delitto medievale. Un principe ordina a un manipolo di sicari di
uccidere un oppositore che dall’estero con i suoi scritti polemici lo
infastidisce e ferisce il suo prestigio. Potremmo leggere la vicenda su
un vecchio libro di storia. Alcuni strumenti usati dai sicari ( sarebbe
stata trovata una sega per tagliare le ossa del cadavere) risalgono a
tempi antichi. L’assassinio di stile medievale compiuto sotto i
riflettori del XXI secolo ha avuto subito ripercussioni internazionali.
La brutalità vi ha contribuito. Le notizie veloci, non sempre precise,
hanno disegnato un delitto con inevitabili aspetti e conseguenze
politiche. Ben aldilà del fatto di sangue.
Sono entrati in gioco
gli equilibri mediorientali, ed anche l’alleanza tra Riad e Washington, e
l’inimicizia tra Turchia e Arabia Saudita. Gli alleati americani sono
rimasti perplessi dall’uccisione del giornalista. Non era un cittadino
degli Stati Uniti, ma vi risiedeva legalmente ed esercitava la
professione scrivendo sul Washington Post. La Turchia, avversaria
dell’Arabia Saudita, chiede che giustizia sia fatta a Istanbul luogo
dove è avvenuto il reato. Anche se il teatro è stato un consolato
straniero, quindi fuori dalla giurisdizione turca. Il fatto che come
mandante sia stato indicato il principe ereditario della monarchia
saudita ha accentuato l’attenzione dei governi non solo mediorientali.
L’Arabia Saudita trae la sua forza e prestigio dall’avere sul suo
territorio i luoghi santi dell’Islam, e dal poter disporre di un mare di
miliardi provenienti dal petrolio di cui è ricco il suo deserto.
Mohammed
Bin Salman appena trentenne regna, con illimitati poteri, al posto del
padre che a 83 anni non ha sempre l’energia necessaria. Questa sua
posizione intimidisce. Non tutti osano indicarlo come colui che ha
incaricato quindici uomini di fiducia di raggiungere su due aerei
privati Istanbul e di uccidere il giornalista Jamal Khashoggi di
passaggio in quella città. Non tutti se la sentono di accusarlo di
essere il mandante, anche se i partecipanti alla spedizione sul Bosforo
sono suoi uomini di fiducia.
Mohammed Bin Salman è spesso citato
con le sole iniziali, Mbs, ed è cosi che risulta nelle didascalie delle
fotografie d’attualità, diffuse in questi giorni, nelle quali stringe la
mano del figlio di Jamal Khashoggi. Il mandante dell’assassinio
conforta il figlio della vittima? La messa in scena è azzardata:
dovrebbe dissipare i sospetti sul principe che proclama la sua innocenza
confortando pubblicamente il giovane Khashoggi. Ma dall’espressione
smarrita, spaurita dell’orfano non sembra che il gesto abbia avuto
questo effetto.
Nel ricostruire con chiarezza quel che è accaduto
nel consolato saudita, Erdogan, il presidente turco, non ha mai
pronunciato il nome di Mbs, ma ha denunciato «l’assassinio politico». Ha
espresso anche il desiderio di celebrare il processo a Istanbul,
nonostante l’extraterritorialità della rappresentanza diplomatica in cui
è avvenuto il delitto. Il processo avrebbe in tal caso come imputato,
sia pure assente, il principe ereditario saudita. Una bella rivincita
per Erdogan, in patria persecutore di giornalisti, liquidatore di
giornali non graditi, e all’improvviso difensore di un giornalista
straniero martire. Il suo desiderio non sarà comunque esaudito. La
monarchia saudita non si farà processare dai turchi.
Dopo avere
mentito al mondo intero, l’Arabia Saudita ha riconosciuto di avere
assassinato il suo suddito Jamal Khashoggi il 2 ottobre scorso, ma non
ha nemmeno preso in considerazione la colpevolezza del principe
ereditario. La vittima, che si è recata ignara nel consolato di Istanbul
per compiere una pratica amministrativa (riguardante un divorzio),
aveva 59 anni e apparteneva a una famiglia rispettabile e conosciuta. Il
nonno era stato il medico di Ibn Saud, il fondatore dell’Arabia
Saudita, e lui, Jamal, in polemica col potere, era espatriato negli
Stati Uniti, dove scriveva editoriali sul Washington Post, che non erano
graditi al potente principe ereditario. Forse lo erano, graditi, a una
parte della numerosa famiglia reale ( centinaia di principi), ma non
alla maggioranza, e comunque non a quella che appoggia il trentenne Mbs.
Venuti
a conoscenza dell’imminente visita di Khashoggi al consolato di
Istanbul, gli insofferenti alle sue critiche sulla stampa americana,
hanno organizzato la spedizione. Il meccanismo dell’omicidio non è
ancora conosciuto nei particolari. La versione saudita sostiene che
l’interrogatorio è degenerato. Ma l’invio di quindici uomini da Riad,
che nell’attesa di incontrare la vittima ispezionano luoghi deserti in
Turchia, probabilmente per seppellirvi il giornalista, accende qualche
dubbio sulla versione di un incidente durante un colloquio.
Alcuni
aspetti del delitto rivelano l’arroganza di un regime che nonostante la
rapida modernizzazione in tanti campi, resta ancorato alla certezza di
usufruire di un’impunità illimitata. Il giovane principe ha promosso
riforme importanti nella società, ma al tempo stesso si è impegnato in
imprese militari, come quella nello Yemen, condotte con spietatezza e
con un grande impiego di mezzi. I maggiori costruttori d’armi hanno come
cliente l’Arabia Saudita, la quale dispone dei miliardi del petrolio.
Da qui la convinzione del giovane principe di poter usufruire della
collaborazione, della complicità delle grandi potenze interessate ai
suoi petrodollari. La generosità con i paesi arabi più poveri, dovrebbe
favorire la comprensione per la sua alleanza, di fatto, con Israele,
nella tenzone con l’Iran. I petrodollari fanno, almeno per il momento,
vacillare il prestigio della monarchia saudita, e in particolare quella
del giovane principe.