giovedì 25 ottobre 2018

Repubblica 25.10.18
Germania
Se il modello Merkel è alle corde
di Tonia Mastrobuoni


Il ritorno alle radici predicato da una fetta sempre più consistente della Cdu e della Spd sta diventando il veleno più potente contro Angela Merkel e la sua "smobilitazione asimmetrica", la sua reticenza proverbiale a prendere posizioni ultimative su qualsiasi argomento. Il suo sfinente tatticismo in questi tredici anni le ha consentito di mangiarsi qualsiasi alleato o avversario.
Cannibalizzando la Spd, i liberali e persino i verdi, arricchendo la sua politica degli argomenti vincenti degli avversari senza complessi ideologici, la cancelliera ha vinto sempre, in un mondo post-muro di Berlino, secolarizzato, in cui il posizionamento pragmatico sembrava la dote più importante.
Nell’era delle "vocazioni maggioritarie", Merkel l’ha sfiorata almeno una volta, nel 2013, e ha continuato a cibarsi di ambientalismo e temi sociali; è stata attenta alle ragioni dell’industria e a quelle dei profughi, occupando il centro della scena politica tedesca per anni, senza rivali. Adesso, con l’ascesa dei populismi e con la polarizzazione della politica, il suo modello rischia di finire alle corde. Il clamoroso successo dei Verdi, con i loro temi forti, e i malumori del suo partito e della Spd che cercano di spostarsi rispettivamente a destra e a sinistra proprio per scollarsi dai posizionamenti pragmatici e riconquistare una posizione ferma nel panorama politico, sono le tendenze più pericolose, per la cancelliera proteiforme. A Berlino gira voce che Merkel si sarebbe già pentita di essersi ricandidata alla cancelleria. Mentre "l’onda verde" che sta montando in Germania rischia di assestarle un duro colpo anche alle elezioni in Assia di domenica prossima, si moltiplicano gli scenari catastrofici sui mesi a venire. Ma è utile anche ricordare che Merkel è stata data per morta o candidata all’Onu o all’Ue o ad altre fantasiose cariche un milione di volte in questi ultimi anni, e i suoi collaboratori più stretti continuano a insistere che «se ha preso un impegno, lo onora fino in fondo». Qualsiasi altra carica sarebbe una diminutio, rispetto al suo ruolo attuale di «donna più potente del mondo», aggiungono. Bisognerà vedere, tuttavia, se i due partiti che la sostengono, Cdu e Spd, e che sono precipitati in una mostruosa crisi di consensi, le consentiranno di guidare il governo di Grande coalizione fino alla scadenza.
Dopo l’exploit della Baviera, anche in Assia il partito ambientalista è schizzato al secondo posto raggiungendo nei sondaggi la Spd. E la Cdu si è talmente indebolita da mettere in dubbio la riconferma di un fedelissimo di Merkel, il governatore uscente Volker Bouffier. Tra i maggiorenti della Cdu si stanno moltiplicando dunque le richieste di una verifica già a dicembre, quando Merkel ha annunciato di volersi ricandidare per la presidenza della Cdu. Se Bouffier dovesse cadere, la ribellione nella Cdu potrebbe emergere alla luce del sole. E costringere Merkel a cedere lo scettro di capo del partito. Intanto.
L’altra spina nel fianco della cancelliera sono i socialdemocratici, finiti in una spirale discendente apparentemente inarrestabile. Alcuni esponenti di primo piano hanno chiesto che la verifica della Grande coalizione prevista per il 2019 si trasformi in un divorzio, anche anticipato, se il partito dovesse naufragare anche in Assia. Il passaggio all’opposizione che era stato sventolato come una promessa da Martin Schulz subito dopo le elezioni, è rimasto il sogno segreto di molti. E adesso comincia a essere il cavallo di battaglia di chi è convinto che soltanto un ritorno alle radici e il divincolamento dalla morsa soffocante dell’ipercentrismo merkeliano possano frenare l’emorragia di voti.