Repubblica 23.10.18
di Toni Morrison l’arte di capire il razzismo
di Roberto Saviano
Arriva
in Italia il volume che raccoglie le lezioni tenute ad Harvard dalla
premio Nobel afroamericana: un viaggio nella storia per raccontare ai
ragazzi da dove viene l’eterno istinto a escludere gli altri. La
riflessione di Roberto Saviano
Abbiamo sentito talmente tanto
pronunciare la parola razzismo da aver smesso di comprendere il suo
sinistro significato. Ci sembra la parola diventata un disturbo, come
una tosse, un catarro che viene a chi è stato troppo esposto al freddo
del passato. Una definizione antiquata, da cui difendersi per tornare a
essere liberi di dar giudizi o fare analisi.
Toni Morrison in
queste pagine rare, diverse da tutto ciò che ha scritto prima, mostra
l’urgenza, dimostra l’imperativa necessità di occuparsi di razzismo.
Racconta scrivendo, anzi battendo il martello delle parole sul metallo
dei concetti, come il razzismo sia l’inclinazione comune, lo spontaneo
cercare di sentirsi qualcosa di più che soli individui, e per realizzare
questa elevazione di sé, si seleziona chi escludere.
Esisto solo
se escludo qualcuno, esistiamo solo se scacciamo nel basso dei commenti e
delle gerarchie umane chi ci appare diverso. E può essere chiunque: il
meridionale, il nero, il bianco isolato, il matto, il povero, il
disabile, tutti possono essere minoranza in questo mondo, non esistono
contesti protetti.
Questo libro dovrebbe essere tra le mani di
professoresse e professori per raccontare ai loro studenti come fu
inventata una patologia, sì, proprio una malattia, per descrivere il
desiderio di fuggire dalla schiavitù degli africani deportati in
Nordamerica. Ma come, possibile che sfuggire alla miseria e ai ceppi sia
una malattia? In quegli anni inventarono anche questo e gli diedero un
nome, "drapetomania", descritta come «il disturbo che spinge gli schiavi
a fuggire». La cura? Farli lavorare, sferzarli, isolarli, considerarli
non bestiame ma nemmeno uomini: qualcosa di intermedio. Questo limbo è
lo spazio dove releghiamo l’altro, qualsiasi altro e, per capire come
venga creato e come riesca a diventare anche un posto fisico, reale,
tangibile, queste pagine sono indispensabili. E non è passato, dice Toni
Morrison, il razzismo è qui, ora, subito e se non conosci cosa è
accaduto, non riconosci gli echi di ciò che accade. Toni Morrison parla
dei flussi migratori in America e dice come la più grande comunità
migrante negli USa sia quella tedesca, molto più folta di quella inglese
e di quella afroamericana, ma la comunità tedesca si è mimetizzata,
quasi nascosta, ha modificato i propri cognomi cassando la propria
origine particolare. Nessuno di loro viene definito tedesco-americano,
come accade per altre comunità di immigrati. Fino a qui magari tutto
sembra rientrare in una normale volontà di integrazione e di evitare che
le differenze siano evidenti, se non fosse che uno dei meccanismi usati
dalla migrazione tedesca è stata il costruire un’identità contro
qualcuno. Non esisti se non in contrapposizione a qualcuno, non sei
incluso se non escludi.
L’identità in contrapposizione con l’altro è persino nella scrittura.
Toni
Morrison cita Faulkner ed Hemingway e spiega come, anche loro, non
riescano a relazionarsi a uomini e donne neri se non indicando la
diversità del colore della pelle. Il bianco è «il locale»,
«l’americano», «il guercio». Il nero è il nero. Il nero o viene chiamato
col suo nome o definito dal suo colore. Raccontare l’utilizzo del
colore in letteratura serve a Toni Morrison per raccontare come questa
prassi, in realtà, derivi dalle leggi stesse che hanno codificato
l’identificare l’essere umano dal colore della sua pelle. Il codice
penale americano del 1847 diceva: qualsiasi persona bianca si ritrovi
con schiavi o negri liberi, allo scopo di insegnare loro a leggere o
scrivere, verrà reclusa in prigione per un periodo non superiore a 6
mesi. Sino al 1944 nella città di Birmingham era vietato «a negri e
bianchi di giocare assieme in luogo pubblico a carte, dama, scacchi».
Quindi l’identità del bianco è data dall’esclusione del nero. Senza il
nero, tra i bianchi tornerebbero le divisioni in ricco, povero, bello,
orrido, privilegiato o sfruttato, simpatico, ignorante, di talento. In
contrapposizione al nero, invece, diventa solo bianco, vincente, parte
attiva del mondo.
Lo stesso concetto di nero è quasi inesistente
in Africa dove, con eccezione dei sudafricani, non si definiscono neri
ma ghaneani, guineani, sudanesi, maliani, nigeriani. La variazione delle
tonalità del colore nero non costituisce un dettaglio significativo,
non costituisce "differenza", e rende sostanzialmente la pelle scura
identica alle varie tonalità di pelle bianca che può essere olivastra,
più chiara, più scura. La polarizzazione sul nero non c’entra col colore
in sé, ma c’entra con la necessità di escludere; c’entra con chi non è
inserito, c’entra con gli esclusi che possono o meno essere inseriti
nella comunità degli inclusi. E l’inclusione di alcuni esclusi genera
altra inclusione e, soprattutto, altra esclusione.
È interessante
seguire, nel racconto di Toni Morrison, episodi di persecuzione per
capire come non si debba e non si possa essere indecisi su come trattare
i casi di razzismo che oggi si presentano.
Cambiano i tempi,
cambiano i luoghi, cambiano anche le modalità ma non il fine, e quel
fine dobbiamo smascherare. Nel 1944 Booker Spicely viene ucciso a Durham
nel North Carolina da un conducente di autobus perché si era rifiutato,
per stanchezza, di andare in fondo, al posto dei neri.
Nel 1946
Maceo Snipes viene prelevato a casa sua e ucciso a colpi d’arma da fuoco
in Georgia perché aveva votato alle primarie democratiche. Gli verrà
appeso al collo un cartello con su scritto: il primo negro a votare ora
non voterà mai più.
Toni Morrison racconta di come, nel Ventesimo
secolo, i neri non più schiavi iniziano a decidere tra loro quale
gradazione di nero sia più nera di altre.
Il «nero mezzanotte»,
così viene definito il colore della gradazione più scura, è garanzia del
vero nero e dà la certezza che un nero così non potrà mai essere
accettato nella società dei bianchi. In Paradiso Toni Morrison racconta
di questa perversione come garanzia di identità e alleanza: non potrà
mai un «nero mezzanotte» pensare di piacere ai bianchi perché non ha la
pelle cacao, cioè mischiata col bianco. Lo scopo di tutto questo, dice
Toni Morrison, è semplice: far morire l’idea di un’umanità comune. Ed è
esattamente quello che sta avvenendo in queste ore, in questi giorni,
settimane e mesi.
Toni Morisson rifugge il nazionalismo black,
così come rifugge dalla logica contraria del povero e dello sfruttato
come il giusto della società.
La sua grandezza è nel riportare tutto alla dimensione umana.
Il
razzismo non è qualcosa che puoi allontanare, non è un vecchio orpello
del passato che nessuno vuol sentire più pronunciare e che nessuno
pronuncia temendo d’essere accusato di troppa correttezza. Il razzismo
sta crescendo nel disastro della mia Italia, della mia Europa. Si cerca
di sentirsi diversi, fortunati, ricchi o sulla strada della ricchezza
solo vessando il profugo, incolpando chi lo sta salvando dal mare.
Razzismo
non è proclamare la superiorità della razza ariana, non è credere
all’esistenza delle razze in contrapposizione alla scienza che ha dato
prova dell’esistenza di un’unica razza, quella umana.
Razzismo è impedire la creazione di una umanità comune.
– © 2018, Roberto Saviano Tratto da "L’origine degli altri" di Toni Morrison edito da Mondadori libri S.p.A per Frassinelli.