Repubblica 23.10.18
Intervista
Occhetto
"Oggi la sinistra è ridotta in cenere o lo capisce o non rinascerà"
di Concetto Vecchio
ROMA
«La sinistra è un’Araba Fenice che può rinascere dalle proprie ceneri,
solo se è consapevole di avere raggiunto lo stadio di cenere». Achille
Occhetto, 82 anni, l’ultimo segretario del Pci, ha appena scritto La
lunga eclissi. Passato e presente del dramma della sinistra, edito da
Sellerio.
Occhetto, la sinistra morirà?
«No, infatti io
parlo di eclissi non di crollo. Nell’89, quando dissi che bisognava
andare oltre le ideologie del Novecento venni irriso con l’accusa di
oltrismo: oggi le mie previsioni sono più attuali che mai. Il punto è
che non si potrà uscire da questa crisi senza prima avere capito come ci
si è entrati».
I motivi quali sono?
«Non ha funzionato la
subalternità al liberismo e alle politiche di austerità. Ci si è
allontanati dalla propria vocazione sociale e lo spazio lasciato libero è
stato riempito dai sovranisti».
Lei sostiene che i populisti
fanno denunce giuste, ma poi offrono risposte sbagliate.
«Quando
Marie Le Pen dice che non c’è sovranità nazionale ed economica ha
ragione, ma ha torto quando dice che l’unica soluzione è riportare la
sovranità dentro angusti confini nazionali».
Questa Europa non le piace?
«Se
lo scontro continuerà ad essere tra un europeismo soltanto difensivo e i
sovranisti la partita alle elezioni di maggio andrà persa. I
progressisti devono battersi per cambiarla radicalmente l’Europa: deve
essere uno scontro tra due cambiamenti».
Come affronterebbe la sfida per le Europee? Con una lista unica?
«Non
si può pensare di battere i populisti rimanendo rinchiusi dentro i
confini del Pd, ma promuovendo un’alleanza ampia, che arrivi fino a
Pizzarotti, ma per fare questo serve un partito di tipo diverso».
Tra Minniti e Zingaretti chi sceglie?
«Non
glielo dico, anche perché al momento non so cosa pensa l’uno e cosa
pensa l’altro. Ma il Pd è partito con il piede sbagliato.
Occorreva procedere prima con una costituente delle idee e solo dopo parlare di candidature».
Dov’è l’errore?
«Nel
pensare di rimettere insieme i cocci. Parlano di autoscioglimento, ma
sarebbe più urgente discutere di autodefinizione: il vecchio mondo è
finito».
Nel libro lei racconta che a 17 anni il partito la
mandava nelle case a ringhiera dove vivevano i proletari. Perché la
sinistra ha smarrito quest’anima popolare?
«Preferisco parlare di
anima sociale. Ad ogni modo non ha nemmeno colto le contraddizioni e i
disagi che attraversano le altre classi sociali, non soltanto quelle più
disagiate. È mancata una lettura complessiva».
Ma il voto del 4 marzo non ci dice che i poveri si sono ribellati?
«Oggi
i due partiti al governo hanno il 60% dei consensi, stando ai sondaggi,
leggere questo dato solo come una ribellione dei poveri è riduttivo, è
successo qualcosa di più complesso».
Però Di Maio li cita sempre i poveri, il Pd meno.
«Ma lui li cavalca, perché ha colto un dato politico, ho qualche dubbio che la sua empatia verso quel mondo sia sincera».
Come spiega il successo di Salvini?
«Con
una comunicazione semplificata che individua ogni volta un avversario e
punta sulle paure. Questa capacità è stata propria di tutte le
dittature, dal peronismo al fascismo, dal nazismo allo stalinismo, che
all’inizio avevano il popolo dalla loro parte».