venerdì 19 ottobre 2018

Repubblica 19.10.18
L’Afghanistan riparte da Kalemzai " Noi giovani al voto contro la violenza"
2.500 candidati al Parlamento, tre milioni di donne alle urne: sfida ai Taliban e agli attentati
di Giampaolo Cadalanu


KABUL La speranza e la disperazione dell’Afghanistan sono distanti appena pochi isolati, fra le casette ordinate e polverose del quartiere di Darulaman. Nella strada di Khushal Khan, l’ufficio elettorale di Habaidullah Kalemzai Wardak è coperto di manifesti, presidiato da soldati con il kalashnikov, circondato da ragazzi con il sorriso sulle labbra. Poco più in là, davanti alla moschea sciita, l’ufficio di Abdul Jabbar Qahraman è coperto di manifesti, presidiato da soldati con il kalashnikov, circondato da anziani con gli occhi pieni di lacrime.
Sui tavolini bassi del quartier generale di Kalemzai i piatti con i resti del Kabuli Pilaw, riso, mandorle e uva passa, raccontano riunioni senza sosta dei comitati civici di sostegno. Il candidato, a 36 anni già veterano della Wolesi Jirga, la Camera bassa di Kabul, si ripresenta puntando ai voti della nuova generazione: l’Afghanistan del futuro, quello che non vuole mollare e che di lasciare la propria terra non ne vuole sentire.
Sul tappeto della terrazza di Qahraman, la poltrona verde da cui il veterano della politica afgana dava udienza ad amici e questuanti è rimasta vuota. Le tazze di vetro non bastano, per gli ultimi arrivati il tè viene servito in bicchieri di plastica azzurra. Una dozzina di sostenitori, turbante nero o giacca occidentale indossata sopra la tunica della tradizione, cerca di arginare il dolore. Qahraman, ex braccio destro del presidente Najibullah in tempi lontani, si era ripresentato nell’Helmand, la provincia più difficile. E proprio lì è stato assassinato mercoledì mattina da una bomba lasciata sotto il suo divano, con tutta probabilità, da un integralista che si era spacciato per elettore in cerca di ascolto. Il segretario Mahmud Ibrahim singhiozza: «Lo hanno colpito perché si batteva per l’unità e la stabilità del Paese».
Qahraman è almeno il decimo candidato ucciso dalla partenza della campagna elettorale, senza contare quelli scampati agli attentati né lo sfortunato Gul Zaman, sequestrato nella provincia del Badghis. Invitati dal governo di Kabul e dagli Stati Uniti a riprendere i negoziati di pace, i Taliban hanno risposto annunciando nuovi attacchi, soprattutto sui partecipanti al processo elettorale e sugli obiettivi militari. Anche ieri hanno colpito durissimo durante un incontro fra le autorità locali e i rappresentanti Usa a Kandahar: un militante Talib è riuscito a infiltrarsi nella scorta del governatore provinciale Zalmai Wesa, e ha ucciso quest’ultimo, il capo provinciale della polizia, Abdul Raziq, il responsabile locale dei servizi di sicurezza Nds e un cameraman della tv Rta. Con loro era anche Scott Miller, il generale americano che guida l’operazione Resolute Support: illeso, dicono i comandi Usa.
Il rifiuto opposto dagli "studenti coranici" all’invito del presidente Ashraf Ghani per una nuova tregua, dopo quella per le festività islamiche, getta un’ombra poco rassicurante sulle elezioni di domani, con quasi 9 milioni di elettori (un terzo donne) che sceglieranno i 250 seggi eletti fra circa 2.500 candidati, con 400 donne e un’alta percentuale di giovani. La paura è che ogni speranza sia soffocata nella violenza, fra politica corrotta e vincoli tribali. Altro segno inquietante è la mancanza fra le candidate di Fawzia Koofi, una delle voci più critiche verso la presidenza. La vicepresidente del Parlamento uscente è stata esclusa dal voto perché avrebbe legami con milizie armate nel suo Badakhshan. «È solo una decisione politica. Le donne che prendono posizioni forti danno fastidio. Le accuse contro di me e la mia famiglia sono calunnie strumentali », dice la Koofi.
Ma la tenacia con cui nei mesi scorsi gli aspiranti elettori hanno sfidato minacce e attentati per registrarsi al voto fa capire che, nel cuore degli afgani, il cammino verso una democrazia compiuta è ormai senza ritorno. Sarà un lungo ma concreto rodaggio del sistema democratico, un percorso accidentato e pieno di barriere, ma tutto sommato non dissimile da quello fatto in Occidente. Il voto per la Wolesi Jirga è considerato una prova generale per le presidenziali dell’aprile prossimo. Anche se i primi risultati della Camera saranno disponibili solo il 10 novembre, per comprendere il futuro dell’Afghanistan sarà significativa la verifica di trasparenza e correttezza del voto.
Sui muri di Kabul la speranza si arrampica a cercare qualche spazio. I manifesti sommergono la città. Sicurezza, lavoro e stabilità sono i temi obbligati negli slogan, anche se su questi obiettivi il nuovo Parlamento potrà ben poco. I candidati ci mettono la faccia, per i conoscenti, e affiancano un disegnino elementare estratto a sorte, da comunicare ai meno scolarizzati. Candidate con il velo e qualcuna senza, barbe lunghe islamiche e facce rasate, occhi a mandorla hazara, turbante o cappello tradizionale pakol. E poi quattro lucchetti, un innaffiatoio, due pennini, una pera, un cavallino. Anche Kalemzai ha dovuto scegliere un simbolo fra tre scelti a caso dalla commissione elettorale. Per parlare ai giovani, né l’icona di un’autobotte, né quella con tre teiere potevano rappresentarlo: «Ci hanno proposto il logo con due lanterne: bene. Lo slogan è: assieme, sulla via verso la luce ».