Corriere 19.10.18
Kabul diciassette anni dopo
Afganistan
di Andrea Nicastro
Stremato da una guerra senza fine il Paese domani torna alle urne
Ma
la democrazia all’occidentale non ha ridotto violenza e disparità
Ricordate le dita sporche di inchiostro viola? Le code ai seggi
elettorali? Le ombre dei burqa che davano il benvenuto alla nuova
democrazia afghana? Domani il Paese del Grande Gioco torna a votare, ma
nessuno sembra più credere al lieto fine dell’intervento occidentale. A
17 anni dalla fuga degli integralisti con la barba, ancora nel pieno
della più lunga guerra americana di sempre, queste elezioni parlamentari
appaiono un rito inutile. I problemi del Paese sono altri e, semmai,
più che dalla democrazia, la speranza per un futuro di pace passa da un
compromesso con il giovane Iaqoub, anche lui prete-soldato, come il
padre, quel mullah Omar, fondatore dei talebani morto anni fa. Tanti
sono i problemi aperti. Eccone alcuni.
Il cimitero degli imperi
Quattro
anni fa la Nato ha lasciato a esercito e polizia afghani la
responsabilità della sicurezza conservando per sé il potere aereo. Da
allora i talebani hanno costantemente conquistato terreno. Nel 2013
uccidevano una decina di avversari al giorno. Nel 2016 ne eliminavano
40. Da allora: top secret. Pare che oggi cadano in battaglia 60-70
«governativi» ogni 24 ore. Troppi per ammetterlo. Per questo è arrivato
l’ordine di auto protezione. Invece di rischiare per difendere i civili,
i soldati devono innanzitutto proteggere se stessi. L’urgenza del
cambio di consegne è diventato evidente ieri a Kandahar, culla del
movimento talebano. Poliziotti ammutinati hanno sparato sui colleghi
durante un summit in vista delle elezioni. Ucciso il potente capo
provinciale della polizia, il corrotto Abdul Raziq, il governatore
civile e altri ufficiali di primissimo piano. Scampato per un soffio il
generale Scott Miller a capo della missione Usa. Il risultato della
ritirata governativa è però un 70% di Afghanistan dove lo Stato non
esiste. Se non è una sconfitta, ci assomiglia.
Garbuglio diplomatico
Ormai
il Pentagono è rassegnato all’idea di una spartizione di poteri se non
addirittura di territorio tra filo-occidentali e integralisti. Per
aiutare le barbe più «dialoganti», gli Usa hanno assassinato con i droni
alcuni leader intransigenti con il risultato di far passare gli altri
da traditori. Le speranze ora sono riposte nel figlio del mullah Omar,
il mullah Iaqoub, ma il problema sono le altre potenze.
L’Iran
sciita, nemico naturale degli estremisti sunniti, li finanzia per
ostacolare gli americani come questi fanno con gli alleati di Teheran in
Yemen, Libano e Siria. La Cina, che ha un enorme problema di estremismo
islamico in casa propria, finanzia i talebani per avere una leva in più
nella guerra dei dazi scatenata da Donald Trump. La Russia prova
ovunque a erodere l’unilateralismo americano e quindi finanzia i
talebani anche se ha il terrorismo sunnita in casa. Il mullah Iaqoub e
il capo ufficiale degli «studenti» mullah Haibatullah Akhdundzada sanno
che con la pace finirebbe quel fiume di denaro. Gli conviene?
Ricostruzione fantasma
Sconfitti
i talebani e i loro ospiti di Al Qaeda in poche settimane di
bombardamenti aerei nel 2001, l’Afghanistan non è riuscito a costruire
un’economia alternativa alla guerra e alla droga. Gli aiuti economici
non sono andati in investimenti produttivi (fabbriche, dighe, canali,
miniere, centrali idroelettriche o solari), ma in aiuti funzionali al
controllo militare. Per alimentare la propria macchina bellica e per
sorreggere il Paese, Washington ha speso ben più di mille miliardi. La
stragrande maggioranza è ritornata in America come stipendi ai soldati o
fatture all’industria militare. Il 90% degli aiuti a Kabul è invece
finito nell’addestramento ed equipaggiamento delle forze di sicurezza.
Per dare un lavoro onesto agli afghani solo briciole.
Stato fallito
Il
capo della polizia di Kandahar ucciso ieri dai talebani era noto per la
sua crudeltà e la sua corruzione. Il fratello dell’ex presidente
Karzai, che ha comandato a Kandahar prima di lui per lunghi anni, era un
trafficante di droga. Svariati vice presidenti che si sono succeduti a
Kabul avrebbero invece meritato di finire sotto inchiesta per strage.
L’attuale presidente Ashraf Ghani, ex Banca Mondiale, è percepito come
un pupazzo di Washington. E il Parlamento che si rieleggerà domani?
Conta poco, pochissimo. Il bilancio statale non dipende dalle scelte dei
deputati, ma dalla volontà delle potenze straniere che vogliono
impedire la vittoria dei rivali in Afghanistan.