Repubblica 16.10.18
Quei diritti da difendere
di Nadia Urbinati
Il
successo di opinione di questo governo va oltre il gradimento
sovranista per il pugno duro alle frontiere. Le dichiarazioni di
esponenti della Lega contro il “ gender” o le decisioni di alcuni Comuni
di boicottare la legge 194 (come quella recente del Consiglio comunale
di Verona di dare sepoltura ai feti senza l’autorizzazione delle donne
che hanno scelto l’interruzione volontaria di gravidanza) stimolano una
riflessione che ci porta oltre la congiuntura di questi giorni e di
questo Paese. Le democrazie occidentali hanno ricostruito la vita civile
sulle macerie del dispotismo monopartitico, e stabilito un ordine
costituzionale che ha predisposto una batteria di freni al potere delle
maggioranze con lo scopo di garantire il diritto alla scelta libera e
responsabile delle persone. Molte delle libertà, contro le quali oggi
vediamo con orrore l’assalto, non furono, però, godute da subito.
Contemplate
nella Costituzione, sono state applicate grazie alla pressione
dell’impegno civile e popolare. Prima degli anni Sessanta e Settanta,
non avevamo molti dei diritti che oggi sono sotto attacco. La democrazia
costituzionale non è nata piena di diritti, ma piena di promesse. Non è
nata, per esempio, con il diritto al divorzio, all’interruzione
volontaria di gravidanza, alla parità di diritti e doveri tra i coniugi,
alle unioni civili. Insomma, quando denunciamo l’assalto a queste
libertà dobbiamo pensare che la democrazia costituzionale non ce le ha
regalate: ci ha dato l’opportunità di conquistarle. Questa riflessione
ha almeno due significati.
Prima di tutto: i diritti non sono mai
sicuri, neppure quando scritti nero su bianco nei codici. Le carte dei
diritti ci danno la cornice di riferimento, la possibilità di avere
un’ampia gamma di libertà riconosciute. In conseguenza di ciò, la lotta
per i diritti non si ferma con la loro conquista formale. La reazione
attuale contro alcuni diritti fondamentali, soprattutto quelli che
riguardano alcune fasce di cittadinanza (principalmente le donne, i
minori, gli omosessuali), ci lascia attoniti ma non ci deve sorprendere.
La scrittura di questi diritti nei codici ha aperto, non chiuso, la
partita dei diritti, come sabato scorso ci ha ricordato la
manifestazione promossa a Verona da “ Non una di meno”. La mobilitazione
della società è un serbatoio di energia critica formidabile contro le
semplicistiche assicurazioni sui diritti acquisiti.
E veniamo così
al secondo significato. La democrazia costituzionale non è nata piena
di diritti civili. Del resto, nell’accusare chi oggi li attacca non
possiamo andare indietro, alla cultura civile del Dopoguerra, poiché il
mondo che ha generato quei documenti straordinari che sono le
Costituzioni e le dichiarazioni dei diritti era tutt’altro che allineato
a quelle grandiose promesse. La cultura morale e politica degli anni
Cinquanta era stretta e angusta come un sentiero sterrato pieno di
ostacoli e di difficile percorrimento. Altro che democrazia liberale
trionfante! La democrazia liberale ( definizione spesso usata in quegli
anni in alternativa alla democrazia popolare di tipo sovietico) si
appoggiava su società che erano molto poco bendisposte ad applicare
quelle libertà dichiarate. Ciò significa che ci può essere una
democrazia costituzionale senza il godimento effettivo di quei diritti.
Come
per alcuni anni non avemmo “ancora” quei diritti, così è possibile oggi
non averli “ più”. Senza questa consapevolezza storica restiamo
attoniti di fronte a un Salvini di turno. Il fatto è che i diritti
civili ( quelli oggi sotto tiro) si possono perdere senza
necessariamente fuoriuscire dalla democrazia costituzionale. Arretrare
alle prime fasi della nostra storia democratica è possibile. La contro-
rivoluzione dei diritti è possibile ed è in corso. Un insegnamento che
ci viene dai grandi padri della cultura liberale (che non è per nulla
identica al liberalismo economico) è proprio questo: la storia delle
libertà non è una marcia trionfale. Il processo storico è fatto anche di
regressioni: un monito a non essere fatalisti o ingenuamente
progressisti o illusi sul fatto che i diritti siano ormai acquisiti.