Repubblica 16.10.18
Vorrei un’italia indifferente alle origini e alle radici
di Fiona May
Ragazzi, guardiamoci negli occhi, non se ne può più.
Siamo
nel 2018. E ancora dobbiamo metterci qui a distinguere? La pelle, il
colore della pelle? Ma stiamo scherzando. Siamo veramente l’unico paese
al mondo in cui ti chiedono: da dove vieni? Ma che te ne importa da dove
vengo. Viviamo insieme in questo luogo. Dovrebbe bastare per avere una
dignità pari e una pari forza. Eppure non è così. Non qui in Italia,
almeno, dove esiste ancora la necessità di dover dimostrare di
“appartenere”. È come se per essere italiani dovessimo ogni volta
esibire la nostra carta d’identità. Non succede in nessun altro posto al
mondo. Se vado in Francia, Germania, Belgio, dico per dire, ebbene in
ognuna di queste nazioni nessuno si domanda alcunché: io sono italiana.
Punto. La colpa è della paura che è una melassa che ti si appiccica
addosso, la paura di tutti quelli che non riescono ad accettare che il
mondo sia un mondo fatto di moltitudine, un mondo in cui sono le
diversità che scompaiono il vero patrimonio, la straordinaria occasione
di arricchimento.
Non il contrario. I media spesso non aiutano.
Capita di leggere ancora parole antiche che delimitano il campo, che
tagliano a fette la realtà, perché in fondo dividere fa sempre comodo a
qualcuno, o distinguere, precisare, l’atleta di colore, la famiglia di
origini nigeriane. E che diamine.
Basta. Alla fine sembra normale
tutto questo, ma non lo è. Siamo arretrati. E io sono veramente stufa di
dover sempre ritornare sullo stesso argomento, come un disco rotto.
Dirò di più: rispetto a quando sono arrivata qui in Italia, la
situazione è anche peggiorata. È imbarazzante.
L’Italia sta
vivendo un momento davvero particolare. Purtroppo sono le vecchie
generazioni che marchiano a fuoco con la loro paura i temi sociali e
impediscono l’arrivo dell’aria sana. Chi ha paura non vuole conoscere i
fatti, la realtà diventa la prima nemica. Per fortuna la maggior parte
dei giovani non ha di questi crucci. Loro non si pongono neppure certi
problemi: semplicemente non esistono. E sono loro la speranza che di
queste cose non si parli più, magari già da domani. Del resto più
indietro di così davvero non si può andare. Sarebbe terribile e non so
quanto pericoloso.
Penso alle ragazze della pallavolo. Stanno
facendo delle meraviglie eppure sono tutti più concentrati sul fatto che
in campo ci siano “colori diversi” trascurando così il valore sportivo
della loro impresa, dietro la quale c’è un lavoro tremendo, dedizione,
fatica. Spero di non dover più trattare quest’argomento.