Repubblica 16.10.18
I Mondiali di pallavolo
Giovani, amiche e terribili il volo delle sorelle d’Italia
di Cosimo Cito
Con
la vittoria sul Giappone padrone di casa, la Nazionale azzurra ha
conquistato il passaggio alle semifinali. Età media 23 anni, si tengono
per mano e sono cresciute insieme nel club vivaio
Davanti, adesso,
c’è davvero il mondo, c’è Yokohama col vulcano già innevato, la
semifinale e certamente una delle due finali, anche se, lo dice il ct
Mazzanti che ieri ha festeggiato il compleanno più sofferto della sua
vita, « le ragazze hanno messo una bella torta in frigo, ma hanno in
serbo ancora la ciliegina » . Vinta solo al quinto set e all’ultimo
punto ( 15- 13) la proverbiale resistenza giapponese, dopo due ore e
dieci di barricate, le azzurre potranno tornare sul treno superveloce,
addio Nagoya, troppa storia c’è ancora da scrivere sotto il monte Fuji,
troppi palloni dovrà ancora catapultare oltre la rete Paola Egonu, 36
punti ieri, a un passo dal record in azzurro, 39, già suo. Le ragazze
che « stanno facendo uno strepitoso Mondiale » , parola del presidente
della Repubblica Sergio Mattarella, si guardano, si stringono, si
tengono per mano. Più volte Egonu e Sylla, l’anima afroitaliana di
questa nazionale del presente e del futuro, si sono tenute la mano
sottorete, prima del servizio di una compagna. Si cercavano, si sono
trovate, in questo Mondiale infinito che non finirà prima di sabato e
durerà chissà quanto ancora, nella memoria. « Ci teniamo » dice la
padovana di origini nigeriane Egonu, «per dimostrarci la nostra forza,
la nostra unione, lo facciamo dalla prima partita, da sempre » . « La
stretta di mano » aggiunge la palermitana di genitori ivoriani Miriam
Sylla, «ci fa sentire che c’è presenza, che ci siamo. Non solo con
Paola, ma con Lia, con Anna, con Moki, con Cristina ».
Un’Italia
multietnica che è multietnica come l’Italia che sta guardando, tifando,
che sta soffiando da lontano sui palloni, da dieci partite funziona,
dieci vittorie su dieci, e non basta ancora. Egonu, Sylla e Malinov,
genitori bulgari, ma anche l’italotedesca Sarah Fahr e la lecchese di
origini nigeriane Sylvia Nwakalor, 5 su 14 delle azzurre ( età media
della squadra di poco superiore ai 23 anni, spinta in su solo dalle
veterane Ortolani e De Gennaro) hanno origini diverse dalla maggior
parte dei loro connazionali, una sola è nata all’estero (Fahr), tutte
amano l’azzurro e cantano l’inno tenendosi abbracciate. Tutte,
sorridendo e abbracciando Doraemon, il pupazzone portafortuna, hanno
spalancato le dieci dita e poi hanno unito le mani, come a dire «si
vola». «Le emozioni vissute contro il Giappone che difendeva tutto,
serviranno » sottolinea Mazzanti, «la paura di perdere qualcosa di
importante e non averlo perso ci fa capire che non possono farci
niente».
Tanto di questa squadra è stato costruito nel tempo, nel
Club Italia, la struttura nata da un’intuzione di Velasco, una sorta di
nazionale baby che gioca in campionato e alimenta il movimento,
finalizza i risultati delle rappresentative azzurre giovanili, riconosce
il talento nelle storie multicolor e negli occhi di ragazze che fanno
pallavolo per motivi diversi, perché molto alte, perché appassionate,
perché il papà (è il caso di Malinov e di Bosetti) giocava o allenava,
perché nelle scuole italiane l’unica eccezione allo spazio inesistente
assegnato allo sport è proprio la pallavolo.
Stamattina la Serbia,
in quello che sembra l’anticipo di una finale, loro hanno voluto subito
le azzurre per non ritrovarsele in semifinale. Vincendo o scegliendo di
perdere, ci si abbinerà alla Cina o all’Olanda, venerdì. E oggi almeno
scenderà la frequenza cardiaca di Mazzanti, ieri a livelli spaziali: « A
un certo punto ho pensato “ non ho più l’età”. È stato bellissimo». È,
sarà bellissimo.