Repubblica 15.10.18
Vivere o sopravvivere? Chiedilo ai classici
di Ivano Dionigi
Perché Seneca e Lucrezio sono un antidoto al pensiero unico
Il
mondo classico, caratterizzato dalla centralità della ragione e dal
culto dell’equilibrio, cos’ha in comune con questo nostro mondo
eccentrico, senza più un centro, e ametrico, senza più una misura?
Atene
e Roma cos’hanno da dire alla nostra gloriosa Europa nel momento in cui
le dure e nuove leggi della geografia e della demografia stanno
soppiantando il collaudato e rassicurante codice della storia?
Le
parole di Lucrezio e Seneca come possono interessare l’uomo tecnologico
dei nostri giorni che, catturato e frastornato dall’immensa rete dello
spazio, ha smarrito la strada del tempo?
Quel mondo classico,
quell’Atene e quella Roma, quel Lucrezio e quel Seneca possono essere
nostri interlocutori: non perché abbiano risolto tutti i problemi e
quindi s’impongano come modelli; ma, più semplicemente, perché ci hanno
preceduti nelle nostre stesse domande; perché, allergici al pensiero
unico, ci hanno prospettato visioni differenti e tra loro antagoniste;
perché, pur da sponde opposte, hanno sperimentato, in solitudine e in
autonomia, cosa significa sopportare la verità quando la vita ti viene a
trovare. Lucrezio e Seneca, come Socrate prima di loro, hanno
richiamato la filosofia dal cielo, l’hanno trasferita nelle città,
introdotta nelle case e portata a interessarsi della vita, dei costumi,
del bene e del male.
Sono interlocutori credibili e utili perché
fanno il controcanto al presente, a qualunque presente, e ci proiettano
nelle dimensioni profonde dell’intelligere, dell’interrogare,
dell’invenire. Questi interlocutori, oltre a ricordarci come eravamo, ci
dicono anche come potremmo essere.
Lucrezio e Seneca: autori
necessari e dal pensiero forte non solo perché hanno segnato la storia
del pensiero europeo con la curiosità della conoscenza, la radicalità
della ragione, la novità della lingua; ma soprattutto perché sono
simboli e paradigmi di due concezioni e tradizioni rivali del mondo.
Divisi e antagonisti su tutto, sui problemi penultimi e su quelli
ultimi: scegliere la politica (negotium) o l’antipolitica (otium)?
Rimanere soli a riva a osservare (spectare) le tempeste della vita
oppure salire a bordo (agere) senza curarsi dei compagni di viaggio?
Adottare
le leggi del cosmo o le leggi dell’io, della fisica o della morale? Il
finis è un «confine» da oltrepassare o da rispettare? Le Colonne
d’Ercole sono una protezione o una limitazione? La lezione dei padri
(notum) o la rivoluzione dei figli (novum)? Di fronte a Dio e alla
morte, credere o capire?
Lucrezio e Seneca: i due hanno scritto
parole durature e guadagnato quella sopravvivenza che l’uno negava e
l’altro desiderava. Per secoli hanno resistito contro oblio (Lucrezio,
eclissato per tutto il Medio Evo, sarà casualmente riscoperto nel 1417
da Poggio Bracciolini in un monastero non lontano da Costanza), condanne
e congiure del silenzio: trascritti, tradotti, commentati, aspramente
censurati o entusiasticamente elogiati.
Entrambi segni di
contraddizione, o semplicemente erma bifronte, immagine dell’homo
duplex. Ho trovato significativo che una parte della critica abbia
riconosciuto Lucrezio in quel busto che – proveniente dalla Villa dei
Papiri di Ercolano e conservato al Museo Archeologico Nazionale di
Napoli – una lunga tradizione aveva erroneamente identificato con
Seneca: nello stesso volto, severo e pensoso, si è voluto vedere ora lo
stoico Seneca ora l’epicureo Lucrezio. Anche i falsi storici veicolano
messaggi di verità. Lucrezio e Seneca fanno ritorno ancora oggi sui
banchi di scuola, nelle ricerche e negli studi sulla realtà naturale e
sull’anima, nei festival di letteratura e filosofia. E fanno ritorno
nella riflessione diurna e notturna di ognuno di noi, soprattutto di chi
li ha frequentati tutta una vita al punto da non distinguere più se la
compagnia di questi «antiqui huomini» sia più passione o professione.
Ogni volta che ti schieri per l’uno ti assale il dubbio che la ragione
stia con l’altro: perché entrambi hanno scritto per noi e di noi. Icone
della bigamia del nostro pensiero e della nostra anima.
Inutile
chiedere loro pace, perché sono naturaliter antagonisti e interroganti.
Sono methórioi, uomini di frontiera, che si sono spinti «al di là del
confine».
È la sfida che i cercatori del pensiero di ieri lanciano ai viaggiatori sedentari di oggi.
Per
rispettare e rispecchiare la loro "diversità", "drammaticità" e
"permanenza", era necessario andare oltre i primi incontri giovanili,
oltre i filtri delle ideologie, oltre gli occhiali della critica.
Pertanto è sembrato naturale farli incontrare nella forma ravvicinata e
viva del dia-logo, dove la parola e la ragione (logos) dell’uno
incrociano e attraversano (dia-) la parola e la ragione dell’altro. E a
volte mi è sembrato di sorprenderli a parlare di questioni che ci
riguardavano.
I classici nascono postumi.
Il ritratto
Giusto di Gand e Pedro Berruguete: Ritratto di Seneca