Repubblica 12.10.18
Salviamo la storia dell’arte
di Cesare de Seta
Da
alcuni giorni gli storici italiani sono scesi in campo contro la scelta
della Commissione presieduta da Luca Serianni di eliminare la traccia
di storia dal tema di maturità. La Giunta centrale per gli studi storici
e delle Società degli storici ha sottolineato la marginalizzazione
della Storia nel curriculum scolastico, già intaccato dalla riduzione
delle ore di insegnamento negli studi professionali. Questa sorprendente
novità — nel Paese di Machiavelli e di Guicciardini — ignora il fatto
che mortificare il sapere storico equivale a privare i giovani cittadini
della classe dirigente delle basi essenziali per orientarli nella loro
scelte di vita e culturali. La Commissione si è mossa in questa scelta
senza consultare mai la Giunta né le università che sono preposte a
questo insegnamento. Ho seguito, nel giorno in cui venivano rese note le
modifiche relative alla prima prova scritta dell’esame di Stato, a un
vivace dibattito a Fahrenheit, su Radio 3, tra Serianni e Simona
Colarizi, condividendo le preoccupate osservazioni della storica.
Terminata la trasmissione mi sono chiesto: ma non è forse la storia
dell’arte una parte essenziale della nostra civiltà?
Almeno dal tempo
in cui Enea Silvio Piccolomini, futuro papa Pio II, iniziava a scrivere
i Commentarii (1462), primo testo della letteratura moderna che dedichi
al paesaggio ampie descrizioni. Enea Silvio è certo parte della storia
ma sarebbe grave dimenticare che è parte anche della letteratura e della
storia dell’arte.
Intendo dire che, se il ministro Bussetti avesse
il buon senso di modificare il testo della Commissione Serianni, non
potrebbe lasciare fuori dalla porta la storia dell’arte.
Essa è la
forma vivente non solo per le opere d’arte, ma pure per il paesaggio e
il contesto dei centri storici che sono scena essenziale della nostra
civiltà. La recente raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea
sull’apprendimento permanente presta una particolare attenzione al tema
della consapevolezza culturale: si sottolinea la necessità di forti
radici identitarie per ispirare una progettualità virtuosa,
interculturale e sostenibile. Questo richiede un impegno politico
efficace, una rinnovata metodologia scientifica e didattica nella
convinzione che il giusto terreno per coltivare tali competenze sia
quello del patrimonio artistico. La relazione stretta che lega un
manufatto al proprio contesto storico, socio-economico e culturale, ma
anche al territorio che lo custodisce, alle vicende della sua
conservazione e fruizione, comporta un esercizio di lettura e di
interpretazione che collima esattamente con quanto scriveva Piccolomini a
metà Quattrocento.
La storia dell’arte necessita di particolari
competenze di lettura e decodificazione dei manufatti e qui si apre un
doloroso argomento: il destino della storia dell’arte nella politica,
nella cultura, nella scuola di ogni ordine e grado del Paese. A parole
se ne celebra “l’eccellenza”, ma di fatto essa è la Cenerentola della
scuola.
Dopo lo scempio della riforma Gelmini, la storia dell’arte
sarebbe dovuta entrare nel biennio di tutti gli indirizzi. Irene
Baldriga, presidente dell’Associazione nazionale storici dell’arte, nel
bel volume Diritto alla bellezza (Le Monnier, 2018), sottolinea la
rilevanza dell’interdisciplinarità che esige competenze trasversali.
Raccomandazioni che valgono anche per gli storici tout court, che sono insorti contro la commissione Serianni.