Repubblica 12.10.18
Il boicottaggio dei medici all’aborto con la pillola
Ru486 mai usata in decine di ospedali. “I ginecologi scelgono la chirurgia perché più semplice”
di Michele Bocci
Dallo
zero al 40, 60, 80 per cento nell’arco di poche decine di chilometri.
Da una ginecologia in cui la pillola abortiva non viene nemmeno presa in
considerazione a un’altra dove l’interruzione di gravidanza
farmacologica supera di gran lunga quella chirurgica. La schizofrenia
sanitaria del nostro Paese raggiunge livelli altissimi quando si tratta
della Ru486, il farmaco più osteggiato d’Italia nel primo decennio del
2000. Oggi è entrato nella pratica clinica quotidiana di una parte degli
ospedali, mentre in un’altra resta del tutto inutilizzato, soprattutto
per volontà dei ginecologi.
A leggere i dati emerge chiaramente che
non possono essere motivi clinici a spingere così tanti reparti a non
prescrivere, o prescrivere, pochissimo la Ru486. La sua sicurezza ed
efficacia, infatti, sono attestate proprio da quello che succede nelle
molte unità operative che somministrano il medicinale senza problemi a
centinaia di donne da quasi dieci anni.
La storia dell’ingresso della
Ru486 nel sistema sanitario italiano è molto travagliata. Nel 2005
partì la Toscana con l’acquisto del medicinale all’estero, mentre il
Piemonte aveva già in piedi una sorta di sperimentazione. Dal 2009 è
arrivato finalmente il via libera da parte dell’Aifa, l’agenzia del
farmaco. A quei tempi i suoi detrattori, vari esponenti politici del
centrodestra e associazioni antiabortiste, sostenevano che la
possibilità di usare una pillola avrebbe “semplificato” l’aborto,
rendendolo più frequente. Previsione sbagliatissima. In questi anni il
numero delle interruzioni volontarie di gravidanza è sceso in modo
costante, mentre con altrettanta regolarità è cresciuto l’utilizzo della
pillola abortiva. Anche una Regione come la Lombardia, che ha sempre
visto questo metodo con un certo sospetto, ora pensa di estenderne
l’utilizzo, che al momento riguarda poco più dell’ 8% degli aborti.
L’assessore Giulio Gallera annuncia un tavolo che potrebbe portare a una
promozione della Ru486: «Non c’era casistica — spiega — Avevamo dubbi
sulla sicurezza, che sono stati sciolti. Si è anche visto che dopo il
farmaco ci sono meno problemi ad avere un figlio rispetto alla
chirurgia».
Resta il mistero del motivo per cui molti ospedali non
usano, o usano pochissimo, il farmaco. C’è chi adombra un boicottaggio
per motivi etici, da parte di primari obiettori che vogliono rendere le
cose più difficili alle donne che abortiscono nei loro reparti. Ma gli
interessati negano, argomentando che gli ostacoli sono soprattutto
organizzativi. Vito Trojano, vicepresidente dell’associazione di
ginecologi Sigo, dice che « sulla Ru486 c’è ancora grande
disinformazione, anche tra i professionisti, non abbastanza formati » ,
cosa un po’ curiosa a 9 anni dall’introduzione nel sistema sanitario.
Trojano è obiettore, quindi non fa aborti, ma teorizza che « spesso sono
le donne a chiedere il metodo chirurgico perché è più rapido, non
richiede di tornare in ospedale». Di parere opposto una ginecologa che
invece usa molto la Ru486: secondo lei «alcuni colleghi temono che la
pillola sottragga loro potere. Perché porta ad un un’autonomizzazione
eccessiva delle donne, sfumando il ruolo del medico».
Il dottor
Massimo Srebot è stato il primo a utilizzare questo farmaco, comprandolo
in Francia per il suo reparto a Pontedera ( Pisa). È stato minacciato
da antiabortisti vari. La sua idea su chi non usa la Ru486 è netta: «
Probabilmente ci sono ginecologi ai quali non piace la prospettiva di
guardare negli occhi una donna quando le consegnano la pillola. Per
certi versi l’intervento chirurgico in anestesia generale è più
semplice, perché impersonale. Così preferiscono quello».