Repubblica 11.10.18
L’orizzonte selvaggio di Calenda "Oltre il Pd, non dà più risposte"
L’ex ministro descrive un’Italia "fragile e confusa". "Dobbiamo dare rappresentanza a chi oggi è impaurito"
di Sergio Rizzo
Carlo
Calenda è sicuro che non ci sia affatto da stare allegri: «Stanno
assottigliando il ghiaccio sotto i nostri piedi. L’Italia non è in
sicurezza.
Eppure non si scorgono segni di allarme tra la
maggioranza dei cittadini». Lo scrive nella pagina più dura e
preoccupata del suo libro Orizzonti selvaggi, in uscita oggi per
Feltrinelli. Un libro che descrive un Paese, l’Italia, «fragile e
confuso». Dove il combinato disposto di ciò che sta accadendo fa
«correre oggi un grave rischio» con un governo espressione di due
partiti che «vogliono demolire la democrazia liberale per sostituirla
rispettivamente con una democrazia (apparentemente) diretta, nel caso
del M5S, o illiberale, nel caso della Lega».
Opinione forse decisamente scontata, per un iscritto al Pd che vede l’esecutivo Salvini-Di Maio come il fumo negli occhi.
Se
non fosse che nella sinistra Calenda è sempre stato un personaggio
scomodo. Non tanto per la provenienza (ha lavorato anche in
Confindustria e si è candidato nel 2013 con Scelta civica di Mario
Monti), quanto per la franchezza. Matteo Renzi lo viveva come un
concorrente che gli voleva fare le scarpe, e gli antirenziani come un
abusivo emissario di Montezemolo. Lui l’ha sempre saputo, ma non per
questo si è fatto crescere i peli sulla lingua. E siccome negli ultimi
cinque anni l’ex ministro dello Sviluppo economico non è stato alla
finestra a osservare il Paese che imboccava questa deriva, qui ci spiega
come (secondo lui) sia stato possibile arrivare fino a questo. Con il
Partito democratico a brandelli, dopo che l’Italia governata dal
centrosinistra aveva ridotto il deficit pubblico e la disoccupazione,
riprendendo a crescere, con l’export a livelli record e un numero di
riforme sociali senza precedenti.
La sua versione: «A un certo
punto abbiamo dato l’idea di non avere più un progetto per l’Italia ma
solo per la conquista e il mantenimento del potere. Il Jobs act, la
gestione delle migrazioni, i salvataggi delle banche hanno determinato
una profonda reazione negativa da parte dei cittadini». E poi «la
decisione del Pd di non appoggiare apertamente Paolo Gentiloni come
candidato presidente del Consiglio, il varo di liste elettorali di
scarsa qualità (...) e soprattutto nessun progetto organico per il
futuro, hanno contribuito a determinare il disastroso risultato
elettorale». Il libro non risparmia neppure gli effetti del «fuoco amico
di una parte del Pd», quella che ha fatto la scissione: «Comunisti fino
all’ultima pietra del Muro di Berlino, blairiani il giorno dopo,
populisti negli ultimi tre anni per opporsi a un governo guidato dal
loro partito, la capacità camaleontica degli ex leader provenienti dal
Pci ha finalmente disgustato la stragrande maggioranza degli elettori di
sinistra».
Calenda si è iscritto al Pd il giorno dopo il tracollo
del 4 marzo. E ora confessa di aver vissuto «un’esperienza deludente e
frustrante. Il Pd è diventato una stanza di compensazione di interessi e
rancori dove si litiga in pubblico e si fanno accordi al ribasso in
privato. Nessuna elaborazione ideale, forza di mobilitazione, capacità
di coinvolgimento può nascere in questo contesto. Qualsiasi tentativo di
rianimarlo è di conseguenza miseramente fallito.
La proposta di
una segreteria costituente, un nuovo manifesto per i progressisti, la
richiesta di un congresso immediato, tutto è caduto nel vuoto. È mia
profonda convinzione che davanti al rischio mortale che il nostro Paese
corre, il Pd non possa più produrre una risposta credibile». Un pezzo
del partito, prevede Calenda, continuerà a cercare «un’alleanza
impossibile e nefasta con il M5S nella speranza di poterlo
addomesticare». Un altro pezzo, invece, «cerca solo un’improbabile
rivincita» in attesa «del terzo avvento di Renzi».
E allora? «Non è
tempo di fondare partiti personali. Farò di tutto per evitarlo. Spero
che faccia lo stesso chi ha avuto le maggiori responsabilità alla guida
del Partito democratico e del Paese negli ultimi anni». Perché, scrive
Calenda, «non possiamo permetterci ulteriori fratture nell’area
progressista», che ha bisogno di «un luogo diverso» per dare finalmente
«rappresentanza all’Italia che ha paura» e «per ricominciare il cammino
insieme ai cittadini che sentono la necessità di opporsi a un governo
incapace e illiberale». Il tempo, avverte, «è poco. Le elezioni europee,
e personalmente credo anche quelle politiche, sono vicine».