Corriere11.10.18
«Un fronte dalla sinistra ai liberali Alle Europee con Gentiloni leader»
di Federico Fubini
Calenda: l’Italia è nel caos, al governo soltanto slogan e incompetenza
Carlo
Calenda a 45 anni debutta oggi in libreria con «Orizzonti selvaggi.
Capire la paura e ritrovare il coraggio» (Feltrinelli). Non il diario di
un’esperienza, come capita a molte figure di governo dopo la scadenza
di un mandato. Calenda racconta i passaggi chiave dei suoi anni da
ministro dello Sviluppo, ma in una cornice più ampia: quella
dell’impatto anche sociale e psicologico delle trasformazioni
dell’economia nell’ultimo trentennio e le ragioni per cui la sua parte —
quella dei progressisti — sta perdendo la battaglia per la democrazia
che si sta combattendo in tutto l’Occidente.
Calenda, i governi pd
hanno visto un netto peggioramento del deficit al netto degli
interessi, una ripresa eppure un aumento dei poveri. Dove avete
sbagliato?
«In primo luogo, abbiamo il Paese in sicurezza e nelle
regole. Abbiamo fatto ripartire l’economia, favorendo gli investimenti,
l’export, la ricerca e tagliando le tasse sulle imprese, ma non
dimenticando chi resta indietro. Da ministro ho cercato di farlo con
Industria 4.0 ma seguendo le crisi aziendali di Alcoa, Ilva, dei call
center o delle acciaierie di Piombino. Ma questa seconda parte è rimasta
quasi inavvertita travolta da una narrazione motivazionale e
ottimistica. Il ritardo sul Reddito d’inclusione e il fallimento della
buona scuola sono stati poi gravi errori».
Perché, a suo avviso?
«Abbiamo
pensato, come tutti i progressisti in Occidente, che i numeri della
ripresa fossero tutto. E lì abbiamo perso contatto con il Paese. Perché
se l’export fa i record, ma anche il numero dei poveri fa i record il
Paese è ancora lontano dall’essere al sicuro».
Nel frattempo il Paese sembra aver perso la sua tenuta finanziaria. Che impressione le fa?
«La
cosa più preoccupante non è il deficit, ma il caos. Preoccupa come
siamo arrivati a questi obiettivi di finanza pubblica: in maniera
menzognera, con l’idea superficiale di poter ingannare i mercati o
l’Unione europea. Ciò che mi preoccupa di più è che il Paese va avanti a
slogan ma è fuori controllo, non governato. Ci stanno esponendo al
pubblico ludibrio, un grande Paese non si comporta così, il rischio è
vicino e mortale».
Se ha ragione lei, perché a suo avviso?
«In
primo luogo per incompetenza: Luigi Di Maio e Matteo Salvini non hanno
mai gestito niente nella loro vita. Sono arrivati al governo senza quel
minimo di umiltà che serve per imparare».
Le sue parole non sono un insulto alla maggioranza degli italiani, che sperano nei nuovi leader?
«E
perché? Gli italiani hanno votato per chi sentivano più vicino alle
loro paure legittime, quelle sul futuro e sul presente ed è dove noi
abbiamo clamorosamente sbagliato. Non penso che la competenza possa
sostituire la rappresentanza ma neanche che chi rappresenta un paese
possa far a meno di imparare e di avvalersi delle competenze altrui. Un
livello di arroganza senza precedenti».
Ora come vi riprendete voi del centrosinistra?
«Definendo
insieme un programma per una democrazia progressista. Che abbia al
centro il potenziamento dell’uomo attraverso un massiccio investimento
su cultura e competenze e uno Stato forte ma non pervasivo nel
proteggere e investire. Un Paese in cui l’analfabetismo funzionale è al
28% non ha ne futuro ne presente. Questo deve essere il nostro New
Deal».
Ma in concreto?
«C’è bisogno di un grande lavoro
sulla pubblica amministrazione, perché la buona gestione è cento volte
più importante di qualunque riforma. E una politica economica che miri
alla crescita tramite gli investimenti, ma agendo immediatamente sulle
diseguaglianze. Serve un ribaltamento di prospettiva: se non cresce la
società nel suo complesso anche con il Pil positivo e un milione di
posti di lavoro perdi le elezioni».
È il suo programma per le Europee?
«Il
programma è nel libro. Diciamo che questo sicuramente vuol dire andare
alle Europee con un fronte più ampio promosso anche dal Pd, ma che
includa parti della società civile e figure rappresentative della
sinistra, fino ai liberali, e i movimenti civici. Un modo che ha molto
più in comune di quanto ne abbia con Di Maio o Salvini».
Chi vede come leader?
«Dev’essere
guidato da Paolo Gentiloni, che si deve candidare alle europee e
presto, spero. In rappresentanza di un mondo che ripensa la democrazia
liberale per preservarla, contro quelli che ci vogliono portare fuori
dall’Occidente e dall’Europa. In un progetto del genere sarei disposto
partecipare».