mercoledì 10 ottobre 2018

La Stampa TuttoScienze 10.10.18
Il motore anti-Google
“Si chiama Qwant e rispetta la privacy di chi naviga”
di Bruno Ruffilli


Possiamo continuare a multarli, ma se non creiamo alternative avremo sempre bisogno di loro». Eric Léandri, fondatore e ad del motore di ricerca francese Qwant, riflette sulle sanzioni della Comunità europea a Google: 4,3 miliardi di euro due mesi fa, oltre ai 2,5 miliardi per abuso di posizione dominante del 2017. E l’alternativa potrebbe essere proprio Qwant, che ha toccato lo scorso anno 10 miliardi di richieste e 70 milioni di visite mensili, pari al 6% del mercato francese. «Siamo il secondo motore di ricerca in Francia, prima di Bing di Microsoft: cresciamo del 20% l’anno», spiega. Il servizio, nato nel 2013, è disponibile in 28 lingue in oltre 160 Paesi e punta a raggiungere tra il 5 e il 10% del traffico europeo entro il 2020. La sede centrale dell’azienda è a Parigi, con filiali in Germania e in Italia.
Come funziona Qwant?
«Abbiamo speso anni per imparare a monitorare i social network e perciò i risultati delle nostre ricerche sono più rilevanti. Ad esempio, se si trova a Barcellona durante il Mobile World Congress, sarà questo il primo risultato, ma, se si è lì in per una partita di calcio, avrà informazioni su quella, e lo stesso per la Formula 1. Il nostro è un motore di ricerca non basato sulle informazioni private di chi lo usa, ma su quello che succede in un certo luogo in un certo momento».
Non siete solo un motore di ricerca, però.
«No, abbiamo una webmail, le mappe, un sistema di pagamento, la musica, le immagini, un’app per permettere ai bambini di fare ricerche sicure sul web e presto arriveranno altri servizi».
Come guadagnate?
«Da pubblicità e affiliazioni, ma senza usare dispositivi di tracciamento o cookie per proporre pubblicità diverse a seconda dell’utente. Tutti i nostri servizi sono basati sul rispetto assoluto della privacy».
Che valore ha la privacy?
«Un valore sempre crescente, soprattutto in Europa. Anche qui un esempio concreto aiuta: non essere tracciati permette di pagare meno per un hotel, perché il prezzo che vediamo nei risultati di una ricerca è deciso da algoritmi che sanno già cosa cerchiamo e quanto possiamo spendere».
Non vendete viaggi?
«No, siamo semplici intermediari, portiamo traffico ai siti: è questo il nostro modello di business e perciò offriamo più risultati possibili, non solo quelli che interessano a noi. Prenda la musica: su Google Music trova 32 dischi dei Pink Floyd, su Quant Music 41, perché iTunes, Spotify e Deezer non permettono a Google di indicizzarli, dal momento che è un concorrente e guadagna con Play Music e YouTube. Qwant, invece, può avere accesso ai loro dati e fornire agli utenti risultati precisi e puntuali».
E le news?
«Le notizie trasformano le ricerche e rendono ogni volta diversi i risultati. Se si tolgono le notizie, Google non è niente. Il punto è che la musica si paga, le news...»
Anche le news si pagheranno: la Ue ha approvato l’introduzione di una piccola tassa per gli snippet, le anteprime degli articoli che appaiono nei risultati delle ricerche. Cosa cambierà per Qwant?
«In Qwant News non abbiamo snippet, ma solo le notizie e il titolo. In Germania per un certo periodo agli editori abbiamo versato una parte degli incassi pubblicitari per l’uso delle news, tramite VG Media, poi abbiamo visto che Google non faceva altrettanto e abbiamo smesso. Non vogliono pagare per poche righe di anteprima, così forse chiuderanno Google News come hanno fatto in Spagna. Il risultato? Ai siti di notizie è arrivato più traffico».
E cosa fate per combattere le fake news?
«Si parla di “filter bubble” a proposito di Facebook e, certo, sui social network il problema è gravissimo, ma anche su Google i risultati sono influenzati dalle abitudini. Pensi che è possibile capire il voto di una persona semplicemente dando un’occhiata ai risultati delle ricerche che fa: se in cima c’è “Le Figaro” sarà di destra, se “Libération” di sinistra. Noi non teniamo conto dei dati personali, quindi,mostriamo tutte le notizie, e ciascuno può farsi la sua idea. Questa è democrazia: la possibilità di scegliere».
Il che ci porta alla nuove norme del Gdpr, il regolamento sulla protezione dei dati personali.
«Tutti dicono di essere in regola, ma poi, a volte, conservano i dati su una struttura cloud negli Usa e quindi soggetta a leggi diverse. Il Gdpr è importante, perché tutela la libertà di non essere spiati in quello che facciamo sul web, anche se non abbiamo niente da nascondere. In questo l’Europa è più avanti rispetto al resto del mondo».