sabato 13 ottobre 2018

La Stampa TuttoLibri 13.10.18
I muri non servono a niente, è la giovinezza che spinge i migranti
L’Africa è un continente troppo povero e troppo poco vecchio per “trattenere” i suoi abitanti due studiosi spiegano che cosa sta succedendo in Europa: con i numeri (e senza slogan elettorali)
di Marco Aime


In un’epoca in cui le migrazioni sembrano divenute l’unico problema che assilla il genere umano, e ne assilla la parte più sedentaria, in cui le parole si sprecano in una cacofonia di opinioni spacciate per verità, leggere due libri come quelli di Stephen Smith e Patrick Chamoiseau, è una sorta di terapia, magari non indolore, ma che serve davvero a comprendere cosa accade sotto i nostri cieli. Giornalista di
Libération, Smith nel suo Fuga in Europa compie una dettagliata analisi dei movimenti tra quella che lui chiama l’isola-continente di Peter Pan e l’Europa, basandosi essenzialmente sui dati e in particolare quelli demografici. Bastano poche cifre per comprendere quanto siano vaghi e vani i proclami di certi leader che promettono muri e blocchi.
In un continente la cui popolazione è di circa un miliardo, solo il 5% degli abitanti supera i sessant’anni, mentre il 40% ha meno di 15 anni. Per fare un rapporto, in Francia, paese particolarmente prolifico, la percentuale dei giovani è la metà. Di quel miliardo di africani solo 150 milioni hanno un reddito giornaliero che va dai 5 ai 20 dollari e costituiscono il bacino di coloro che vogliono emigrare. Secondo un sondaggio fatto da Gallup il 42% degli africani tra i 15 e i 24 anni vogliono emigrare dal loro continente. Una base giovane così ampia è peraltro esclusa dal voto, portato a 18 anni in quasi tutto il continente, e quindi impotente a cambiare le cose nel proprio paese. La popolazione africana, peraltro, continuerà a crescere tra il 2,5 e il 3% sino al 2050 molto di più della media della popolazione mondiale. Se tale tendenza si conferma, nel 2100 quando il pianeta sarà abitato da 11 miliardi di persone, il 40 per cento di esse saranno africane.
Di fronte a un continente giovane e con gravi difficoltà ad assicurare istruzione e lavoro a una così ingente massa di adolescenti, l’Europa sta invece seguendo un andamento opposto, quello dell’invecchiamento. Per fare l’esempio italiano, nel 1951 c’erano 31,4 ultra sessantacinquenni ogni 100 under 15; nel 2015 ci sono 157,3 «anziani» over 65 ogni 100 ragazzi sotto i 15 anni. Si prevede che nell’arco di un decennio l’incidenza degli under 15 scenderà ancora passando dall’attuale 13,7% a meno del 12%. Secondo le Nazioni Unite nei prossimi decenni l’Europa dovrà accogliere 50 milioni di migranti per mantenere il suo numero di abitanti e se vorrà stabilizzare la sua popolazione attiva si dovrebbero raggiungere gli 80 milioni. Abbiamo bisogno di giovani e non potranno che venire dall’Africa. Che piaccia o meno, molto probabilmente nel 2050 avremo tra i 150 e i 200 milioni di afroeuropei.
Se il libro di Smith ci mette di fronte a una realtà statistica e demografica ineluttabile, con cui bisognerebbe davvero fare i conti, avviando politiche lungimiranti, Fratelli migranti dello scrittore martinicano Patrick Chamoiseau, affronta la questione dal punto di vista della civiltà dell’umanità perduta, della barbarie, che individua nelle pieghe della cosiddetta società avanzata. Con un linguaggio che evoca la poesia evoca i drammi e le tragedie dei viaggi della speranza, ma con lucidità tagliente l’autore riesce anche a individuare le cause di così tante diseguaglianze che sfregiano il genere umano. Tra preghiera e denuncia Chamoiseau ci porta in un viaggio che pur facendo leva sul lato emotivo delle coscienze non scorda come la pace neo-liberale, il dominio del Grande Mercato sia alla base di tanto male. Questo libro traduce in emozione i dati e i concetti espressi nel testo di Smith: non siamo arrivati a tutto questo per caso. Politiche miopi e dissennate hanno causato un dissesto di cui ora paghiamo le conseguenze e poco senso ha erigere muri e barriere contro la storia. Una storia, quella del genere umano, che peraltro è storia di migrazioni, di cammini, fin da quando i nostri più lontani antenati lasciarono l’Africa orientale. Si tratta di scegliere, sembra dirci Chamoiseau, se rispondere dimostrando che ciò che abbiamo voluto chiamare «civiltà» è davvero espressione di una comprensione diversa oppure se è solo un modo per celare una barbarie vestita in modo elegante.
«Barbaro è colui che crede alla barbarie» scriveva Claude Lévi-Strauss; «La barbarie lega tutte le nostre disgrazie e ci costringe a considerare insieme tutte le nostre sfide» gli fa eco Chamoiseau.