sabato 13 ottobre 2018

Il Fatto 13.10.18
La scomparsa della politica estera
di Mario Giro

*già viceministro degli Esteri 2016-2018

Timothy Garton Ash parla di declino dell’Occidente. E non è certo la prima volta: fu uno dei mantra intellettuali al volgere del secolo scorso che proseguì a ogni fine di guerra mondiale. Oggi va sotto il tema dei “sonnambuli”: governi che andarono verso la Grande Guerra senza accorgersene, storditi dai fasti della Belle Époque. Quel tempo, che alcuni chiamano la “prima globalizzazione economica”, ancora segna chi studia le cose europee.
Oggi “mente svagata” mi pare la sintesi migliore. Uno dei problemi degli Stati “sonnambuli” fu il non parlarsi, non fare politica estera che serve proprio a evitare disastri. Con un po’ di esagerazione (ma solo un briciolo) si potrebbe affermare che con “mente svagata” l’Occidente oggi non si interessa più del mondo esterno. Quasi tutti i Paesi importanti dell’Occidente non fanno più politica estera sottomettendola alle necessità immediate di politica interna.
Non abbiamo posto la dovuta attenzione al fatto che l’Amministrazione Trump non abbia mai completato le nomine al dipartimento di Stato: molte caselle sono rimaste vuote e la politica estera americana è sostanzialmente in mano agli “acting” (interim) senza potere, con tutte le conseguenze del caso. La stessa staffetta tra Tillerson e Pompeo ha mostrato quale sia la direzione presa: America First significa una jacksoniana politica di “rientro” entro i confini nazionali, iniziata da Barack Obama e a cui Donald Trump ha impresso una velocità maggiore.
Guardando al Regno Unito il quadro non cambia: preso in pieno dalla Brexit e dal negoziato con la Ue, il governo britannico si trova isolato e non operante sullo scenario internazionale, malgrado la sua perfetta macchina diplomatica. Le dimissioni di Boris Johnson da ministro degli Esteri sono state emblematiche. In Italia per almeno due anni la politica estera è stata frenata dal ministero dell’Interno con le sue ossessioni migratorie. La decisione di Enzo Moavero Milanesi, ora titolare della Farnesina, di tenere la conferenza politica sulla Libia potrebbe essere un colpo d’ala. La Germania, dal canto suo, è concentrata sui dossier europei e sull’attacco sovranista interno. Le poche iniziative internazionali significative del governo Merkel sono state il parto più del ministero della Cooperazione che di quello degli Esteri. In Francia, tradizionalmente il Paese europeo più attivo sullo scenario mondiale, le preoccupazioni domestiche stanno limitando l’outreach del presidente Macron, che pure ha investito molto in termini di pensiero e proposte globali nella prima fase della sua presidenza, senza tuttavia ricevere risposte sia dall’Europa che da altri possibili partner. La Spagna non fa di meglio, presa in ostaggio dalla questione catalana.
Le crisi siriana e libica stanno lì a dimostrare come l’Occidente non riesca più a fare politica estera, anzi ne sembra disinteressato, senza citare lo Yemen e l’Iraq. Mentre Russia, Turchia, Cina e altri attori (il Golfo, l’Iran, l’India ecc.) stanno facendo molto in termini di presenza e di proposta, l’Occidente tace, ritirato nel suo foro interno e alle prese con le ossessioni della sua opinione pubblica. Siamo schiacciati sul presentismo e sono finiti i dibattiti che avevano appassionato i cittadini occidentali durante le guerre nell’ex Jugoslavia o nel Golfo. Lo stesso movimento per la pace, che nel 2003 aveva provocato la manifestazione globale più imponente della storia (120 milioni di persone in 800 città), oggi è silenzioso. Dominano i temi tutti intestini e di retroguardia sull’identità, la sostituzione etnica, le migrazioni o la sicurezza, che attraversano le società occidentali provocando reazioni emotive di paura e di rabbia. Il mondo sembra una minaccia di cui è meglio non occuparsi. Ma con la geopolitica delle emozioni non si va lontano.