lunedì 8 ottobre 2018

La Stampa 8.10.18
Tentazioni illiberali sull’aborto
di Vladimiro Zagrebelsky

La mozione approvata dal Consiglio comunale di Verona su una proposta leghista e con il voto favorevole della capogruppo Pd in tema di aborto ha dato spazio all’abituale, insopportabile schieramento di opposte tifoserie, pronte ad alterare i fatti pur di sostenere i propri slogan radicali e semplicistici.
Sempre più raramente ormai, anche su temi complessi e delicati come è certo quello dell’interruzione di gravidanza, si sente argomentare riconoscendo che esistono ragioni contrapposte, che occorre trovare un accomodamento ragionevole, che i concreti fatti della vita sono vari e richiedono risposte adatte e diverse. Da una parte si è sentito dire che la legge n.194 del 1978 avrebbe finalmente riconosciuto la libertà della donna di abortire e dall’altra si è detto che ogni aborto è un crimine, un omicidio. Ma né il documento veronese, né, soprattutto, la legge e la Costituzione danno sostegno all’una o all’altra affermazione.
La legge non riconosce un diritto all’aborto nel senso che si tratti di una libertà della donna. La legge nega che l’aborto possa essere mezzo per il controllo delle nascite e impegna lo Stato, le Regioni e gli enti locali a sviluppare i servizi socio-sanitari e ad assumere iniziative per evitare che l’aborto sia usato al fine di limitare le nascite. Con questa premessa, la legge poi prevede condizioni e procedure per consentire entro i primi novanta giorni l’interruzione di una gravidanza che comporti un serio pericolo per la salute fisica o psichica della donna, in relazione al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o alla previsione di anomalie o malformazioni del concepito. L’accesso all’intervento abortivo è dalla legge garantito in quelle circostanze, cosicché parlare di libertà di aborto è una forzatura che la legge non consente.
Certo dal 1978 a oggi molte cose sono cambiate e ad esempio lo sviluppo delle pillole abortive ha modificato il quadro delle possibilità praticamente disponibili, ma la legge non è stata modificata. E la Corte costituzionale ha stabilito che la tutela del concepito ha fondamento costituzionale poiché la Costituzione riconosce i diritti inviolabili dell’uomo «fra i quali non può non collocarsi, sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie, la situazione giuridica del concepito». Tuttavia «non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare». Nello stesso senso, nel quadro della Convenzione europea, si è pronunciata la Corte europea dei diritti umani, che ha ritenuto equilibrata la soluzione adottata dalla legge n. 194 nel contemperare le esigenze della donna con l’interesse del feto, meritevole di tutela. Non esiste dunque una libertà o un diritto senza limiti di porre termine alla gravidanza. Di diritto si può parlare quando siano presenti le condizioni stabilite dalla legge.
È probabile che nella realtà le condizioni poste dalla legge siano ignorate o superate. E che quindi il richiamo alla legge sia in qualche misura ipocrita, come per altro verso è ipocrita gran parte del massiccio fenomeno dell’obiezione di coscienza dei medici. Il Comitato nazionale di bioetica ha affermato che l’obiezione di coscienza non può essere strumento di sabotaggio della legge, tanto più se «nelle mani di minoranze fortemente organizzate, oppure oggetto di abuso opportunistico da parte di singoli». E il Comitato europeo dei diritti sociali ha constatato che spesso l’Italia non garantisce alle donne l’applicazione della legge n. 194. Stando così le cose è senza senso e, nei confronti di donne che si trovano in grandi difficoltà, è disumano parlare dell’aborto come di un crimine o un omicidio. Per la verità, non in questi termini si è espresso il Consiglio comunale di Verona, anche se il retroterra implicito sembra proprio essere quello.
Il linguaggio intollerante che, anche questa volta, è stato usato da una parte e dall’altra per squalificare le posizioni contrapposte, insieme all’inclinazione alla censura, è particolarmente preoccupante. In Francia sono sanzionate le organizzazioni (cattoliche) che, rispondendo alla richiesta di informazioni e sostegno da parte di donne incinte, le sconsigliano di ricorrere all’aborto. A Roma, recentemente si sono fatti staccare manifesti di un’associazione contraria all’aborto. Facciamo attenzione: l’espressione di opinioni è un diritto da tutelare con scrupolo sempre, anche da parte di chi le trova sbagliate e sgradevoli. C’è già troppa «democrazia illiberale» che incombe perché le si prepari il terreno, proprio da parte di chi, in nome della libertà, dovrebbe contrastarla.