Il Fatto 8.10.18
Attenzione, attraversamento migranti sull’autostrada
Il
cartello commissionato dalla California, feticcio per i collezionisti,
mette i messicani in fuga sullo stesso piano dei cervi: irresponsabili e
pericolosi per gli automobilisti. Un’immagine che rivela molto di noi
di Salvatore Settis
L’iconografa
non è una scienza esatta, ma qualcosa dice. Il segnale stradale che
invita gli automobilisti alla prudenza per non travolgere famiglie
intere che attraversano l’autostrada fu commissionato nel 1989 dal
California Department of Transportation a un grafico di ascendenza
indo-americana, John Hood, ma fu messo in opera in un solo tratto
stradale, l’ultima parte della Interstate 5, quella prossima al confine
messicano, lungo la costa del Pacifico oltre San Diego. Dunque, gli
esseri umani a cui gli automobilisti sono invitati a prestare attenzione
sono migranti illegali che hanno appena attraversato il confine e, pur
di raggiungere il territorio Usa, potrebbero azzardarsi ad attraversare
un’affollatissima autostrada.
Questo segnale stradale non si può
confondere con quelli collocati presso edifici scolastici, che mostrano
bambini quietamente diretti a scuola. La famiglia di migranti del
cartello californiano, invece, sta correndo, scappa via da qualcuno che
teme. Il padre e la madre poggiano al suolo un solo piede, mentre la
bambina con le treccine, presa per mano dalla mamma, nemmeno tocca
terra. Fuggono per evitare che la polizia li arresti, ma potrebbero
essere investiti e uccisi.
Il parallelo iconografico giusto è
dunque un altro, quello con i cartelli stradali che mettono in guardia
gli automobilisti dagli animali selvaggi che potrebbero tagliar loro la
strada. In America spesso viene indicato anche il nome della bestia in
questione: per esempio, dove c’è rischio di imbattersi in un cervo ci
sono segnali stradali che ne mostrano la sagoma mentre corre, con la
scritta “Deer Crossing”.
I cartelli con la famiglia di migranti
collocati sulla Freeway erano varie decine, ma sul posto ne sono rimasti
pochi, anche perché intanto sono diventati di moda come oggetto di
collezione, e infatti se ne trovano in vendita ogni tanto su eBay e
simili. Ora, nessuno negherà che chi ha commissionato, disegnato,
prodotto, collocato quei cartelli avesse anche l’intenzione di salvare
vite umane. Ma c’è qualcosa di più in questo ridurre un’intera famiglia
di esseri umani ad anonime sagome che corrono nel buio come bestie
selvagge, senza sapersi fermare nemmeno davanti all’imponente nastro
d’asfalto di una trafficatissima autostrada.
Il migrante viene qui
rappresentato come radicalmente altro dal cittadino americano che sta
guidando e che potrebbe ucciderlo. Sul cartello non è scritto (come nel
caso del cervo) il nome di chi corre per la strada, ma una sola parola:
“Caution”, attenzione. Esortazione rivolta, come tutti i cartelli di
tutte le autostrade, a chi guida: sia prudente l’automobilista, visto
che il migrante non sa esserlo! La prudenza è virtù degli americani, non
di un qualche migrante che potrebbe far cose che un bravo yankee non
farebbe mai, attraversare un’autostrada trascinando anche i bambini in
un rischio mortale. Forse sarà così selvaggio da non sapere che cos’è
un’autostrada? O non capisce niente perché preso dal terrore di essere
arrestato mentre tenta di valicare il confine? L’automobilista viene
invitato a salvare la vita dei migranti, ma anche a guardare dall’alto
in basso la loro condizione umana. E che cosa mai penserà chi ha
acquistato su eBay un cartello come questo? Lo considererà forse una
neutra “opera d’arte” da appendere in salotto? Intanto Banksy ha
interpretato da par suo questo segnale stradale (2011): le sagome sono
identiche, ma corrono per far volare un aquilone, la loro speranza di
una vita migliore.
L’esperienza dei migranti sul confine
Usa-Messico è stata descritta mille volte, per esempio in
un’impressionante installazione di Alejandro Iñárritu alla Fondazione
Prada di Milano, Carne y Arena, che costringeva gli spettatori a
mettersi nei panni dei migranti. Un ex agente della polizia americana di
confine, Francisco Cantù (origini messicane, cognome brianzolo), ha
descritto in un libro, The Line Becomes a River (2017), la sua lenta
conversione dalla routine dei respingimenti all’identificazione emotiva
con le ragioni dei migranti. Ma il miglior commento a quel che accade su
quella linea di confine si legge in un racconto di Carlos Fuentes, Rio
Grande, Rio Bravo, dove l’agente-protagonista “detesta i migranti
illegali, ma al tempo stesso li ama, perché ne ha strettamente bisogno”.
Senza di loro, infatti, non ci sarebbero operazioni di polizia,
pattuglie, discorsi sui respingimenti, spese per le armi o gli
elicotteri, eccetera. Ma nonostante tutto, nonostante Donald Trump, i
muri e le restrizioni e i cartelli stradali, quel confine non può essere
sigillato, come nessun confine mai poté esserlo nella storia umana.
Qualcosa da imparare da storie come questa c’è forse anche per chi si
affaccia su quel vasto intreccio di autostrade che si chiama
Mediterraneo. Perché anche dalle nostre parti c’è chi detesta i migranti
ma ne ha bisogno, e se ne serve per i propri scopi.