Il Fatto 8.10.18
Africa, contro i vecchi tiranni l’urlo dei nuovi Lumumba
Dall’idolo
trash pop Bobby Wine che canta “Freeee Uganda” in faccia al presidente
Museveni alla pasionaria rwandese Diane Rwigara: il continente prova a
ribaltare il potere
di Michela A. G. Iaccarino
“Questa
lotta non inizia e non finisce con me. Nella mia voce c’è l’eco di
milioni di persone. Il presidente è al potere da quando avevo 4 anni”.
Basco rosso, stella dorata, denti bianchi. Robert Kyagulanyi quando
canta è Bobby Wine. Uscito dai set dei suoi video trash pop, è entrato
in politica. “Freeee Uganda: siamo una generazione ottimista, non
abbiamo niente da perdere oltre la nostra vita. Basta corruzione, basta
povertà: liberiamo l’Uganda”. Bobby ha 36 anni, 74 ne ha Yoweri
Museveni, presidente di un Paese dove “l’85% della popolazione ha meno
di 35 anni”. Accusato dal capo dello Stato di tradimento, Bobby è finito
in carcere ed è stato torturato, diventando però la speranza di tutti i
giovani ugandesi che, da fan, sono diventati suoi sostenitori politici.
Museveni è abbastanza vecchio da avere paura di Bobby, che è abbastanza
giovane da non averne e sfidarlo: “Non me ne andrò. Certo che ho paura,
ma ho un solo Paese”.
Il continente con i presidenti più vecchi
al mondo ha la popolazione mondiale più giovane in assoluto e ora i
tasselli del mosaico africano si stanno muovendo. Giovani rivoluzionari
crescono, eredi di quel Patrice Lumumba ucciso dal regime del generale
Mobutu in Congo nel 1961. I candidati sfidanti oggi sono capitani
coraggiosi, velleitari e impreparati, ma vogliono tirare giù dal trono
la vecchia guardia dei presidenti-dinosauro, che abbandonano il loro
potere stantio e corrotto solo alla morte. L’Africa che cerca di
arginare la fuga in Europa, creando condizioni di vita migliori, si
trova in Zimbawue, Cameroon, Sudafrica, Rwanda. Se c’è una nuova faglia
politica che ora spacca in due la storia è questa: “Da un lato gli
oppressi, dall’altro gli oppressori”, ripete Wine.
In Rwanda Diane
Rwigara, 38 anni, è finita in prigione “per incitamento alla rivolta”
per aver pubblicamente criticato il regime di Paul Kagame. Attivista per
i diritti delle donne, si è candidata alle elezioni presidenziali 2017 e
poche ore dopo sono state diffuse foto in cui era nuda. Offesa e
vilipesa, non è diventata muta: ha continuato a parlare di sanità per
tutti e libertà di parola, per finire estromessa, per dettagli tecnici,
dalla corsa elettorale. Il vecchio presidente ha vinto con quasi il 99%
delle preferenze.
Sta per finire l’anno delle urne africane.
Milioni di votanti e migliaia i candidati nel 2018: delle 54 nazioni più
di 20 hanno scelto candidati da nord a sud, ma sono stati giorni di
cronaca nera più che politica, per i morti degli scontri, politici e
tribali. In Sierra Leone, a Kambia, in scontri violenti tra i due
partiti del Paese, l’Apc, Congresso di tutto il popolo, e il Slpp,
Partito del popolo, c’è stata anche una vittima.
Ieri il Camerun
ha scelto se sostituire Paul Biya, un presidente di 85 anni, che rimane
in carica da 36. Il Paese resta polarizzato dagli implacabili scontri
tra le regioni anglofone – che si sentono discriminate – e quelle della
maggioranza, francofone. La divisione, arrivata con l’uomo bianco,
risale a quando il Camerun neppure era Stato, ma solo una colonia.
In
Sudafrica il quasi 70enne Ramaphosa verrà sfidato alle prossime
elezioni 2019 da Mmusi Maimane, nato nel 1980, e Julius Malema, classe
1981. Nessuno spodesta invece Teodoro Obiang, da 39 anni a capo della
Guinea Equatoriale, dove sedeva prima suo zio, defenestrato dal nipote
nel 1979. Nello Stato microscopico, con vastissimi giacimenti di
petrolio, una corte francese ha condannato il figlio di Obiang per
corruzione. Da Teodoro a Teodorin: il rampollo playboy è anche
vicepresidente del padre, ha milioni di dollari investiti in America,
decine di Ferrari e una collezione di oggetti di Michael Jackson dal
valore di 2 milioni.
Joseph Kabila, da 17 anni al vertice della
Repubblica democratica del Congo, ha detto che le elezioni del prossimo
23 dicembre sono “irreversibili”, o almeno così le ha definite, con
baffi neri e barba bianca, nel suo ultimo discorso all’Onu, promettendo
“di fare tutto per garantire che siano pacifiche”. Lui non si
ricandiderà ma lo farà il suo delfino, quello che tutti chiamano il
“Medvedev” di Kinshasa, l’uomo ombra, Emmanuel Ramazani Shadary, 58
anni. Omar Bashir in Sudan governa da 28 anni, un anno in più di Idris
Deby in Ciad. Da 19 anni sono al potere Denis Sassou Nguess in Congo e
in Algeria Abdelaziz Bouteflika. In Eritrea l’autocrate Isaias Afeweki
resiste da 25 anni.
Erano 24 i candidati, vecchi e giovani, alle
presidenziali dello scorso 29 luglio in Mali. Accesso ad internet
limitato, terrorismo islamico che fa scorrere sangue quanto quello
tribale: le urne sono diventate teatro di sparatorie e attentati e chi è
andato a votare in alcune zone è andato a morire. Alla fine, dopo un
ballottaggio contro il candidato d’opposizione Soumaila Cisse, l’uomo
che era già al potere ci è rimasto: il presidente Ibrahim Boubacar
Keita, 72 anni, già premier dal 1994. Emmerson Mnangagwa, 76 anni,
successore di Mugabe, 94 anni, ha appena proposto di alzare il limite di
età (attualmente è 40 anni) per i candidati alla presidenza dello
Zimbabwe per “fermare gli immaturi”. In mente ha un uomo, il suo
sfidante Nelson Chamisa, il volto 40enne del Movimento per il
cambiamento democratico. Contro una gioventù che ritiene imprudente e
canaglia si scaglia la vecchia guardia quando osserva quella nuova, a
cui assomigliava terribilmente mezzo secolo prima, quando ha conquistato
il potere mai abbandonato. Forse la storia questa volta sarà nuova e i
giovani africani la cambieranno. Oppure andrà come è sempre andata. Lo
ha detto anche Bobby Wine: “Lo so, lo so che il presidente ha promesso
le stesse cose quando aveva la mia età”.