domenica 7 ottobre 2018

La Stampa 7.10.18
La sinistra orfana di Lula tenta l’argine all’ultradestra
di Emiliano Guanella


Con tutto quello che è successo negli ultimi quattro anni a Dilma e a Lula è già un miracolo se arriviamo al ballottaggio». Nessuno lo dice a voce alta, ma molti nella sinistra brasiliana lo pensano, in un’elezione che potrebbe segnare per la prima volta dal ritorno della democrazia il trionfo di un candidato di estrema destra nostalgico della dittatura militare. Data per assodata la leadership in solitaria di Jair Bolsonaro, la grande incognita del voto di oggi è se l’ex capitano dell’esercito vincerà subito o dovrà andare al ballottaggio, presumibilmente con Fernando Haddad, l’uomo scelto dagli «orfani di Lula» dopo il definitivo diniego alla partecipazione dell’ex presidente, oggi in carcere per corruzione. Tenere fino all’ultimo accesa la speranza di avere Lula candidato è stata una strategia azzeccata per recuperare voti, soprattutto nelle regioni povere del Nord-Est, fra milioni di famiglie che hanno ricevuto con i governi di sinistra assegni sociali, case ad edilizia popolare, accesso alla salute e all’educazione. Haddad era, per loro, semisconosciuto, tanto che i primi spot di campagna scherzavano sulla pronuncia corretta del suo cognome.
E se qualcuno, all’inizio, ha pensato addirittura che si trattasse del figlio biologico di Lula, al partito gliel’hanno fatto credere volentieri pur di assicurarsi quei voti. Non sono riusciti, però a catturarli tutti perché molti nel frattempo si sono spostati sull’altro candidato progressista, il socialista Ciro Gomes. Secondo gli analisti, i voti confluiranno al secondo turno contro Bolsonaro, ma non è detto che basti. Il Pt (il Partito dei lavoratori) dovrebbe riuscire a confermarsi come il primo o secondo partito in Parlamento (oggi si vota anche per il legislativo e per i governi statali) con una cinquantina di deputati. Ma il difficile inizia domani. Se andrà al ballottaggio, Haddad dovrà cambiare radicalmente strategia e puntare ad un fronte democratico contro l’autoritarismo di Bolsonaro. Se non mette da parte Lula, l’ex presidente rischia di diventare una zavorra e questo gioco di equilibrismo politico non è facile in un Brasile completamente polarizzato. Se c’è una cosa che è emersa chiaramente in questa convulsa campagna elettorale è che l’anti-«lulismo» è forte quanto, o forse ancora di più, che il «lulismo» viscerale. Buona parte degli elettori di Bolsonaro, esclusi quelli a favore delle sue posizioni razziste, militaresche e omofobe, lo appoggiano sostanzialmente perché lo considerano l’unico in grado di bloccare il fantasma del ritorno di Lula. Non c’è da stupirsi considerando che da tempo i grandi media non fanno che ripetere quanto il Pt sia stato il partito più corrotto di tutti i tempi, sulla base dell’inchiesta per la corruzione nella Petrobras.
A scuola da Bannon
Il sentimento anti-Pt nato con le manifestazioni di piazza del 2013 è cresciuto con l’impeachment di Dilma Roussef e l’arresto di Lula ed ora si è gettato nelle mani energiche di Bolsonaro. Chi pensava, come ai piani alti della potente Tv Globo, che alla fine l’avrebbe spuntata un centrodestra più moderato è rimasto deluso. Bolsonaro è arrivato a coprire un vuoto lasciato dalla politica tradizionale e ha sbaragliato tutte le carte; un miracolo politico brasiliano, sulla scia dei nuovi leader populisti globali di destra, da Trump in poi. Due mesi fa ha mandato suo figlio Eduardo da Steve Bannon in cerca di consigli preziosi per la campagna elettorale. Qualche dritta gli è stata sicuramente utile; come ha fatto Trump con la Fox News, Bolsonaro ha già scelto come canale di riferimento, la Tv Record di Edir Macedo, il boss dell’Universale del Regno di Dio, la più ricca della chiese evangeliche, con milioni di fedeli. Mercoledì Macedo gli ha dichiarato il suo appoggio, il giorno dopo Bolsonaro, convalescente dopo l’aggressione subita un mese fa, non si è presentato per ragioni mediche all’ultimo dibattito fra i candidati alla Tv Globo, ma alla stessa ora è andata in onda una sua intervista concessa ad un giornalista compiacente della Record.
Mentre la sinistra si lecca le ferite e spera di iniziare una nuova campagna, la nuova destra, spinta dalle inchieste giudiziarie e sorretta dall’alta finanza, dai militari e dalle chiese evangeliche, sente che può vincere subito. Chiudendo una partita iniziata quattro anni fa fra la piazza e le aule di giustizia.