La Stampa 6.10.18
Un’altra meraviglia a Pompei: sotto la lava e i lapilli un giardino incantato
di Emanuela Minucci
«La
prima cosa che abbiamo scoperto è stato un frammento di rosso pompeiano
su cui s’inerpicava, sinuosa, una pianta: colori così brillanti e
intatti che sembravano essere stati dipinti la sera prima». È ancora
emozionato Massimo Osanna, il direttore del Parco archeologico di
Pompei. La sua équipe ha appena concluso uno scavo che ha portato alla
luce una sontuosa edicola per il culto dei Lari (la più grande finora
ritrovata), una sorta di giardino incantato di quattro metri per cinque
pieno di creature benauguranti. «È una stanza enigmatica e meravigliosa
che dovremo studiare a lungo» aggiunge il direttore. Il giardino
immaginario - rimasto sepolto per duemila anni accanto a un giardino
vero - si è conservato intatto sotto la coltre del materiale eruttivo
del Vesuvio.
«È un intervento che fa parte del Grande Progetto
Pompei», spiega Osanna, «volto alla riconfigurazione del fronte di scavo
nella Regio V e alla mitigazione del rischio geologico. L’area non
scavata incombe su quella riportata alla luce con una massa di 5 metri
di materiale piroclastico e terra di riporto: è questo che ha causato i
recenti crolli».
Nel grande altare custodito da una benevola
coppia di serpenti - gli «agatodemoni», demoni buoni - si vede un pavone
solitario che spunta nel verde, e fiere dorate che lottano con un
cinghiale nero metafora del male. Poi il cielo solcato da leggiadri
uccellini, un pozzo, una grande vasca colorata, il ritratto di un uomo
con la testa di cane.
«È una scoperta meravigliosa proprio per il
perfetto stato di conservazione. Lo ammetto, quando insieme con il mio
staff abbiamo capito che si trattava di uno dei più eleganti larari
conservati a Pompei ci siamo commossi». Osanna lo dice mentre gli
archeologi e i restauratori sono ancora al lavoro, fra i tubi innocenti
che sostengono le murature millenarie. Qualche mese fa, a pochi metri di
distanza, all’incrocio tra il Vicolo delle Nozze d’Argento e il Vicolo
dei Balconi, era stato riportato alla luce lo scheletro di un uomo di
circa trent’anni. E ora si continuerà a scavare per liberare altre due
stanze adiacenti al giardino, un’area che si prevede riserverà molte
sorprese.
Il larario appena scoperto si trova in una domus già in
parte scavata agli inizi del Novecento, con accesso dal vicolo di
Lucrezio Frontone. Al centro di un paesaggio idilliaco e lussureggiante
spicca l’edicola sacra sorvegliata dalle figure dei Lari protettori
della casa, con la lucerna di bronzo, la piccola ara di terracotta
poggiata vicino all’aiuola, il coperchio del pozzo che sembra essere
stato appena schiuso.
«La prima impressione», dice Osanna, «è che
tutto sia magicamente rimasto al suo posto, come se i padroni di casa
fossero appena usciti». Ma restano misteriosi gli abitanti della
meravigliosa magione che si trova a pochi metri da un’altra ricca
abitazione, quella di Marco Lucio Frontone. «Forse un ricco
commerciante», spiega il direttore, «certo una personalità raffinata e
colta». Certamente un uomo in grado di pagare le migliori maestranze e
di commissionare dipinti tra i più belli finora ritrovati a Pompei.
Questo paesaggio quieto, quasi salotto familiare, contiene altrettanto
nitida la memoria della tragedia. È una piccola finestra, chiusa da una
grata divenuta tutt’uno con la lava. Nel magma pietrificato si
distinguono ancora frammenti di legno. «Per noi è struggente», dice
Osanna, «con tutta probabilità si tratta proprio degli infissi di questa
finestra, divorati dalla lava rovente».
Il Bene e il Male
convivono ancora una volta in pochi metri in questo nuovo frammento di
Pompei che ha ritrovato la luce. C’è il giardinetto, il verde smeraldo
delle piante, l’oro delle rifiniture e una cornice gialla diventata
rossa. Ma non è il tradizionale rosso pompeiano, è rosso perché è stato
cotto dall’inferno della lava.