Corriere 6.10.18
No ai domiciliari per Verdiglione «Fatemi tornare a scrivere libri»
Milano, il filosofo ha perso 24 chili in un mese
di Elisabetta Andreis
MILANO
Armando Verdiglione, 73 anni mal portati, parla con un filo di voce
dalla sedia a rotelle, ormai magrissimo. Nel suo primo mese di
detenzione per la condanna definitiva su reati commessi dal 2003 al 2010
— da Opera è stato da trasferito al reparto penitenziario dell’Ospedale
San Paolo — ha perso 24 chili. Il perito di parte che l’ha visitato
ieri ha scritto nero su bianco che la sua condizione psicofisica «non è
compatibile con l’ambiente carcerario». E gli avvocati (Lucio Lucia,
Andrea Orabona e Stefano Pillitteri) rilanciano ancora la richiesta di
detenzione domiciliare per età avanzata e salute precaria, già rigettata
tre volte. Ma lui non sopporta l’idea di essere dipinto come un anziano
debole, tantomeno intende «fare quello che muove a compassione». Con lo
sguardo battagliero ben noto all’ambiente della cultura (e della
magistratura), pure in un sussurro scandisce bene le parole: «Chiedo mi
vengano concessi i domiciliari perché da casa posso continuare a
scrivere i miei libri, incontrare intellettuali. Posso ancora dare un
contributo alla cultura. E inoltre vorrei stare vicino a mia moglie che è
malata di tumore».
Poi, sapiente, il professore allarga il
discorso, da sé agli altri: «Nel nostro Paese le misure alternative al
carcere sono utilizzate troppo poco. In queste settimane, mentre la
manovra di bilancio faceva tanto clamore, passava sotto silenzio il via
definitivo del Consiglio dei ministri ai decreti di riforma del sistema
penitenziario. In pratica si affossa la legge delega che provava a
estendere quelle misure. Non si doveva fare, e lo dico a prescindere dal
mio caso, dalla mia età, dal mio stato di salute, perché quello che i
miei avvocati chiedono è già previsto dalla legge attuale».
Psicanalista
orgoglioso, Verdiglione è filosofo riconosciuto a livello
internazionale, ma anche imprenditore discusso per le accuse di ordine
finanziario che gli sono state mosse una prima volta negli anni 80. A
suo carico, allora, erano le ipotesi di truffa, tentata estorsione e
circonvenzione di incapace (che gli costarono 4 anni e due mesi). Poi di
nuovo fu accusato dieci anni fa (frode fiscale e truffa alle banche:
gli furono comminati nove anni, con tanto di confisca di beni per 110
milioni. Un mese fa la condanna — ridimensionata a 5 anni — è diventata
esecutiva). «Avevo intorno pensatori di fama internazionale, da Alberto
Moravia a Emmanuel Lévinas e Jorge Luis Borges», dice il professore,
lasciandosi prendere solo un attimo dalla nostalgia. Nel 1987 l’«affaire
Verdiglione» provocò la levata di scudi di studiosi del calibro di
Bernard-Henri Lévy e Eugène Ionesco, che comprarono una pagina su Le
Monde e lanciarono un appello al presidente della Repubblica e alla
magistratura italiana per mettere fine a quello che bollavano come
«clima da caccia alle streghe con prigionieri politici». Quando il
professore tornò in cella a scontare la pena si mosse un gruppo guidato
da Francesca Scopelliti, compagna di Enzo Tortora. E anche ora, al
secondo processo, sono venuti a testimoniare in aula per lui da tutto il
mondo intellettuali del calibro di Marek Halter. Venendo all’oggi: a
settembre diventa definitiva la condanna a lui e alla moglie Cristina De
Angeli Frua (ma a lei, in ragione dell’età e del tumore, i domiciliari
sono stati concessi). Quello che resta della loro vita di un tempo non
c’è più. La villa San Carlo Borromeo di Senago, che veniva affittata per
matrimoni ma soprattutto utilizzata per convegni («a scopo
intellettuale e non speculativo», dice lui), risultata esposta per 73
milioni, è andata all’asta. Così la villa Medolago di Limbiate. Quanto
all’udienza di merito sulla richiesta dei domiciliari, è fissata per il
10 dicembre. Verdiglione scende dalla sedia a rotelle, si corica sul
letto del San Paolo e prima di addormentarsi sussurra: «Magari il
giudice di sorveglianza anticipa la decisione e mi fa tornare a casa, e
ai miei libri».