La Stampa 5.10.18
Il capo di Hamas apre a una tregua
“Non voglio più guerre con Israele”
di Davide Lerner
Il
leader di Hamas nella striscia di Gaza, Yahya Sinwar, ha rilasciato
un’intervista senza precedenti ad un quotidiano israeliano dicendosi
favorevole ad un cessate il fuoco di lunga durata con Israele. Sul
fronte, però, il livello di allerta dell’esercito israeliano continua ad
aumentare. «Non voglio più guerre con Israele», ha detto Sinwar. «Non è
nel nostro interesse confrontarci con una potenza nucleare, non
potremmo vincere, e una nuova guerra non è nemmeno nell’interesse di
Netanyahu. La prossima sarebbe la quarta operazione su Gaza e non
possono permettersi di concluderla come la terza, che già si è conclusa
come la seconda, che già si è conclusa come la prima. Dovrebbero
rioccupare Gaza (per impedire il lancio di missili verso Israele, ndr.).
E non penso che Netanyahu, che sta tentando in tutti i modi di
liberarsi dei palestinesi della Cisgiordania per preservare una
maggioranza ebraica, desideri annettere un territorio con altri due
milioni di arabi». Di regola, i politici palestinesi non concedono
interviste ai media israeliani, temendo che la «normalizzazione» dei
rapporti rischi di rafforzare lo status quo. Il quotidiano Yedioth
Ahronoth, il giornale a pagamento più diffuso del Paese, è stato infatti
bersaglio di un comunicato polemico di Hamas dopo la pubblicazione. «La
giornalista ha detto di essere di “Repubblica” e del “Guardian”, non
avremmo rilasciato a israeliani», ha accusato il movimento islamista,
che però non ha smentito i contenuti dell’intervista, se non lamentando
che «alcune affermazioni sono state distorte». Il tono del leader di
Hamas, Yahya Sinwar, stupisce per l’inusitata moderazione, per uno che
ha militato per una vita nelle frange armate di un’organizzazione votata
alla distruzione d’Israele: «Ci troviamo di fronte a un’opportunità
storica per cambiare le cose», dice, «ma il cessate il fuoco deve voler
dire non solo nessun attacco da una parte e dall’altra, ma anche la fine
dello stato d’assedio su Gaza, perché l’assedio è una guerra combattuta
con altri mezzi», ha detto Sinwar a Yedioth Ahronoth. Israele mantiene
un controllo fermissimo delle frontiere di Gaza, sia di terra che
marittime, limitando radicalmente la possibilità di transito di merci e
di persone.
Israele accusa Hamas di ignorare le disastrose
condizioni umanitarie della Striscia, per investire invece in tunnel
sotterranei progettati per aggredire Israele: proprio attraverso uno di
questi tunnel, Hamas rapì nel 2006 il soldato israeliano Gilad Shalit,
che fu poi liberato in cambio di oltre mille prigionieri palestinesi,
fra cui lo stesso Sinwar, che è stato oltre vent’anni in carcere, in
quanto mandante di un’operazione terroristica. Ma per Sinwar i tunnel
sono fondamentali, soprattutto perché garantiscono l’approvvigionamento
di beni di prima necessità: «Per fortuna ci sono i tunnel: a volte gli
israeliani non fanno passare per i valichi neppure il latte, non saremmo
sopravvissuti altrimenti», dice. Se un cessate il fuoco tenesse,
sostiene Sinwar, forse Gaza potrebbe diventare come Singapore e Dubai.
«Se solo per un momento ci fermassimo e pensassimo a Gaza come era una
volta – lei hai mai visto delle foto degli Anni Cinquanta? Quando
d’estate tutti venivano in vacanza a Gaza?», dice Sinwar, riflettendo
sullo scenario (improbabile) che un cessate il fuoco possa durare a
oltranza. «Ogni sera i nostri ragazzi guardano il mare e si chiedono
come sia il mondo al di là delle onde, mi spezza il cuore», racconta.
Nel colloquio, Sinwar dice anche che il ritiro israeliano da Gaza nel
2005 fu solo un passaggio dall’occupazione dall’interno all’occupazione
dai confini, che Oslo è stata una menzogna per compromettere le chances
di creare uno stato di Palestina, che gli aquiloni infuocati che da Gaza
vengono lanciati verso Israele non sono un’arma ma un messaggio: «Siete
più forti ma non vincerete mai».