mercoledì 3 ottobre 2018

La Stampa 3.10.18
Nel borgo travolto dall’inchiesta
I profughi in lacrime: “Non è giusto”
La difesa del fratel
lo: “Non ha intascato un soldo. Se ha sbagliato era in qbuona fede”
di Nicolò Zancan

Il 14 ottobre 2016, davanti alla platea gremita del teatro Rendano di Cosenza, era salito sul palco un sindaco molto emozionato. Mimmo Lucano, sindaco di Riace: «Grazie per questo riconoscimento, non so nemmeno se sia meritato. Magari, un giorno o l’altro, verranno ad arrestarmi». Stupore in sala. Lui al microfono: «Non ci capisco niente di tutti questi regolamenti. Firmo un mucchio di carte. Cerco solo di fare del mio meglio.
Secondo me, contano più gli esseri umani della burocrazia». Era la cerimonia di consegna del premio per la Cultura Mediterranea della Fondazione Carical. Il sindaco aveva vinto per il modello di integrazione dei migranti nel suo paese.
Ieri mattina alle 6,30, cinque agenti della Guardia di Finanza sono venuti ad arrestarlo. I militari hanno bussato alla porta di questa palazzina in salita, a sinistra del Municipio. Il sindaco dormiva. È andato ad aprire in pigiama. «Ho già chiarito tutto», ha detto sorpreso. «Non capisco quello che state facendo. Sono venuto da voi a deporre spontaneamente». Era la notifica degli arresti domiciliari. Dopo diciotto mesi di indagini sul modello Riace, la profezia del sindaco che ha salvato il suo paese aprendo le porte ai migranti si è avverata.
Ora in piazza c’è un uomo che piange. Il suo nome è Saibou Sabitiou, 44 anni, dal Togo. Piange mentre viene buio, e si capisce che da queste parti nulla sarà mai più come prima: «È un’ingiustizia. Non ha senso prendersela con Mimmo. Noi non lo abbandoneremo mai. Saremo sempre dalla sua parte». Mostra una fotografia nel telefono. Accanto a Sabitiou, con una sciarpa celeste c’è il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. «Era il 2010. Facevo il bracciante a Rosarno. Stavo tornando in bicicletta, quando mi hanno sparato da una macchina in corsa. Mi hanno colpito all’inguine. Sono stato 15 giorni in ospedale. Lo hanno fatto per razzismo. E poi, quando mi hanno dimesso, è venuto il presidente Napolitano. E dopo il presidente, è arrivato Mimmo: è lui che mi ha portato qui a Riace. Gli devo tutto. Una vita in pace. Un lavoro. Stavamo benissimo, qui. Non è giusto, non è giusto…».
Per i 430 rifugiati che vivono a Riace, su una popolazione di 1900 abitanti, non è stato facile capire. Ma continuavano ad arrivare le televisioni per tutto il giorno. E tutte parlavano del sindaco. Di Mimmo Lucano. «Very kind man» dice Favour Owunso, 26 anni del Ghana, spingendo un passeggino avanti e indietro. «Mimmo è gentile. È un padre. Ci dava sempre da mangiare. Si toglieva i soldi dalle tasche per darli a noi. Non faceva niente di male».
Il telefono del sindaco squilla a vuoto. Affacciato alla finestra di casa sua, il fratello Giuseppe Lucano risponde a tutti con grande pazienza. Dice così: «È sconvolto, amareggiato, tristissimo, incredulo». Però un po’ se lo aspettava, diciamo noi. E il fratello risponde: «Quelli che gli contestano sono reati fino a un certo punto. Non ha mai intascato un soldo. Mi sembra che ci sia stato dell’accanimento nei suoi confronti. Se ha sbagliato, lo ha fatto in buona fede. Mio fratello ripeteva sempre: “Quello che è giusto, bisogna farlo. La legge non è umana”».
Hanno cercato nei conti. Hanno ipotizzato anche il reato di peculato. Quello che hanno trovato, secondo il gip, è un matrimonio combinato per dare la cittadinanza a una donna etiope. E poi irregolarità nell’assegnazione di un appalto per i rifiuti. «Spregiudicatezza». «Diffuso malcostume». Ha scritto il giudice per le indagini preliminari. Che non ha risparmiato critiche anche agli investigatori della Guardia di Finanza. «Vaghezza delle accuse». «Genericità». «Circostanze che appaiono indimostrabili o prive di precisi riscontri». «Errori macroscopici». Addirittura un interrogatorio senza avvocato. Però, adesso, il sindaco di Riace è ai domiciliari.
Mimmo Lucano è un professore di chimica di sessant’anni. Ha insegnato prima a Bussoleno, poi a Roccella Ionica. Sposato, divorziato. Padre di tre figli. Ha sempre amato la politica con passione. Sta a sinistra. La sinistra di Che Guevara. Quella di Peppino Impastato. Quella di Emiliano Zapata, ritratto in un murales che campeggia al centro del paese: «Se non c’è giustizia per il popolo, lascia che non ci sia pace per il governo».
Da quindici anni è sindaco di Riace. Tre mandati. La sua vita è cambiata nel 1998, quando 300 profughi curdi sono sbarcati lungo la costa. «Mimmo ha pensato che accoglierli fosse un bene per tutti», racconta ancora il fratello Giuseppe. «Un bene per loro, senza una casa. E un bene per il paese, che si stava spopolando». È stata la nascita del modello Riace. Conosciuto in tutto il mondo. Vincitore di molti premi.
Mimmo Lucano non ha mai nascosto le sue idee. Ha coniato una moneta parallela per pagare i migranti quando i soldi ministeriali tardavano ad arrivare. Già due anni fa era stato convocato al ministero dell’Interno per le irregolarità nella gestione dei fondi. Quando gli sono stati bloccati i finanziamenti, ha fatto lo sciopero della fame.
Adesso al caffè Meeting, al centro di Riace, dicono mezze frasi: «Se ha sbagliato, deve pagare». «Perché dovremmo dispiacerci per il sindaco? Non l’abbiamo mica fatto ingabbiare noi». È una terra dura. Di Comuni che continuano ad essere sciolti per mafia. Di cartelli sulle montagne ancora crivellati dai proiettili dell’anonima sequestri. La terra in cui il boss della ’ndrangheta Antonio Pelle ha potuto comodamente evadere dall’ospedale di Locri, dove si era fatto ricoverare per anoressia. Questa era anche la terra del modello Riace. La terra del sindaco Mimmo Lucano.
Ieri sera tardi, sotto il diluvio, tre turiste tedesche si aggiravano per le vie strette del paese. Erano partite da Dresda per venire qui: «Abbiamo visto un servizio in televisione sul paese dei migranti». Era difficile spiegare. Anche a loro.