Il Fatto3.10.18
Il paese si divide su Domenico “u curdu”
Tanta solidarietà dai concittadini, ma c’è anche chi sputa veleno: “Cazzi suoi”
Il paese si divide su Domenico “u curdu”
di Lucio Musolino
A
Riace ha piovuto ieri. Una bomba d’acqua verso l’ora di pranzo ha
lavato le strade deserte di una cittadina nella Locride che si è
svegliata stordita da una tempesta. Stordita e confusa perché Mimmo u
curdu, il sindaco, è finito agli arresti domiciliari per favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina. Una bufera giudiziaria che tutti avevano
previsto da oltre un anno dopo le polemiche dovute al blocco dei fondi
per l’accoglienza dei migranti. In mattinata, nel piazzale davanti al
Comune non c’era nessuno. Solo qualche migrante che non capiva perché
Mimmo Lucano ancora non si era fatto vedere.
Le tapparelle della
sua abitazione, a due isolati dal municipio, erano tutte abbassate. Solo
una finestra aperta dove si è affacciato il fratello Giuseppe. Stava
ancora dormendo quando ha bussato la Guardia di finanza per arrestare
Mimmo: “Ho sentito Mimmo che era molto sorpreso – dice – perché questa
indagine è iniziata da un anno e mezzo e lui si era fatto interrogare
spontaneamente. Non pensava si arrivasse addirittura agli arresti
domiciliari”.
Negli occhi di Giuseppe c’è tutto l’orgoglio per un
fratello che ha creato un modello di accoglienza sul quale Wim Wenders
ci ha fatto film (e Beppe Fiorello una fiction). Addirittura, un paio
d’anni fa, era finito pure nella classifica di Fortune tra le 50 persone
più influenti al mondo. “Mimmo resisterà”. Suo fratello non ha dubbi:
“Lui non ha nulla da nascondere, non ha rubato niente. Anzi ci ha
rimesso. Vediamo alla fine cosa decideranno i magistrati. Secondo me è
un’azione politica considerato il clima che si vive in questi giorni in
Italia”.
Giuseppe lascia la finestra, ed esce: “Il tweet di
Salvini l’ho visto. Il ministro ha sfruttato l’occasione per scagliarsi
per l’ennesima volta contro la buona pratica dell’immigrazione. Lui
vorrebbe chiudere tutto e Riace, invece, è un modello che vuole aprire
tutto. Qui è rinato il borgo e le migliaia di persone che sono passate
hanno riacquistato, grazie a mio fratello, la dignità di esseri umani”.
“L’arresto – assicura il vicesindaco Giuseppe Gervasi – non mette fine
al modello Riace. Anzi, credo che possa essere un nuovo inizio”.
In
piazza c’è un unico bar aperto all’ora di pranzo. La titolare difende
Mimmo, mentre inizia a piovere: “Ha pensato sempre al paese, e non a
lui. Secondo me è un’ingiustizia”. Una ragazza poco distante le dà
ragione: “Mimmo è una persona che ha aiutato tutti. Lo conosco da una
vita. Adesso che è stato arrestato, Riace morirà”. Nell’altro bar, però,
c’è chi non lo può vedere: “Sfido a trovare un amico di Mimmo. Io sono
un suo nemico. Quindi non mi interessa quello che succede”. La pioggia
si fa più forte. Vedendo i giornalisti, un signore con l’ombrello non
vuole perdere l’occasione per sputare anche lui la sua dose di fango
contro il sindaco. Il detto “Nemo profeta in patria” non rende a pieno
il veleno nutrito da alcuni: “Sono cazzi suoi. – dice – Voleva essere il
simbolo dell’accoglienza, ma lo faccia a casa sua”.
Nella piazza
dove poche settimane fa c’è stato Roberto Saviano, adesso gioca un
bambino di colore. Accanto c’è sua madre. “Avrà anche sbagliato qualcosa
ma ha fatto tanto per me e per mio figlio”. A stento riesce a tenere il
piccolo lontano dalle telecamere. Vorrebbe parlare con Mimmo: “Mi
dispiace che vada in galera”. E poi gli manda a dire: “Vorrei che tu
stessi con me per sempre. Ti voglio bene”.