mercoledì 3 ottobre 2018

La Stampa 3.10.18
Luigi Zoja
“Lo straniero ci fa paura Solo conoscendolo potremo accettarlo”


L’uomo è anche una specie animale: ha degli istinti, che sono gli stessi dalla fine del paleolitico. Per quello sessuale o nutritivo le possibilità di soddisfazione si sono moltiplicate. L’istinto territoriale è stato invece sconvolto dalla civiltà. Ognuno di noi si muove già in appartamenti troppo piccoli. Ma se esce di casa? È costretto a stiparsi con cento altre persone in un vagone della metropolitana. Gli animali - anche quelli più intelligenti e disciplinati - difficilmente lo accetterebbero: l’istinto vuole prima controllare se i vicini sono amici. Diffidare è una difesa istintiva, non una malattia. La ragione del passeggero accetta i vicini perché «sa» che sono viaggiatori, non invasori. Ma l’istinto entra in allarme.
Per giunta ormai molti passeggeri provengono da Paesi lontani: sono «diversi» e non integrati. Per i nostri istinti sono quasi appartenenti a una specie non umana: ci sentiamo minacciati senza saper spiegare perché. La differenza è sentita come un pericolo, soprattutto da chi è abituato a reagire con «la pancia» più che con la riflessione. [...]
Ora passiamo dal caso individuale alla massa. Nella Germania di Weimar, dove la stabilità quotidiana era sconvolta da una inflazione mai vista, già dominava il panico. Secondo Hitler il Paese era minacciato dal corrompersi della razza: soprattutto per via degli ebrei, che «complottavano» per prendere il potere. Come il passeggero del metrò, Hitler si lasciava guidare da istinto: come i cani che, vedendo un’ombra, abbaiano prima di capire. Ma la società umana è più complessa di quella animale, il nostro «abbaiare» andrebbe filtrato dalla consapevolezza. Hitler invece non cercò di dimostrare l’esistenza di un «complotto ebraico». Passò direttamente alle leggi razziali e all’annientamento di tutti i diversi.
Come la bulimia è una degenerazione dell’appetito, la paura paranoica nasce dal sospetto, in sé necessario: non possiamo sempre fidarci. Il paranoico, però, razionalizza la diffidenza con categorie morali. Hitler e Stalin giustificarono le loro stragi come lotta tra «bene» e «male». Ma queste categorie poggiavano su una scissione assoluta fra noi e gli «altri». Nessuno è perfetto, il male esiste in tutti. Ma il paranoico manca di ogni capacità psicologica: non sa guardarsi dentro. Il suo male è semplicemente espulso e attribuito agli avversari. [...]
Da quando esistono i mezzi di comunicazione, abbiamo maggior accesso alle spiegazioni reali e non dovremmo aver più bisogno di quelle superstiziose (malocchio o «complotti»). Invece stampa, radio e televisione vengono manipolati, additando qualcuno sufficientemente «altro»: lo si trasforma in nemico, riattivando le nostre paure più animali. Le dittature dispiegavano una paranoia hard, mentre quella di oggi è solo soft. Purtroppo si sovrappone a un nuovo inconveniente, il «paradosso di internet». La rete ci offre conoscenza. Ma, oltre un certo limite, fa invece aumentare l’ignoranza. Inoltre, l’uso di internet è massimo fra i più giovani. Più che accedere a dialoghi nuovi, si comunica fra coetanei, rinforzando pregiudizi già esistenti. Ne soffre lo scambio intergenerazionale; e con esso la conoscenza della storia. Racconti brevi, velocissimi e gratuiti. Ma fra le popolazioni meno colte avvengono ormai linciaggi per false accuse «postate» su Facebook. Come ho notato nel testo Nella mente di un terrorista, persino in Italia c’è chi non esce più di casa per paura del terrorismo, che da noi finora non ha colpito. Mentre nessuno si rifiuta di uscire perché fuori ci sta un altro killer: l’inquinamento (in Italia causa 83.000 morti all’anno, Eea). L’aria tossica non è un «diverso» da additare sui media e sui social.
Conseguenza del terrorismo è la sopravvalutazione del numero di immigrati musulmani in tutta Europa: si crede sia fino a settanta volte superiore al reale. Un pericolo terrorista esiste. Ma in questo caso corrisponderà a un settantesimo del problema. Gli altri sessantanove settantesimi sono paure paranoiche.
Gli studi su questi preoccupanti temi ci offrono però una notizia buona, suggerendo una via semplice e antica. La paura paranoica dell’«altro» è massima dove i «diversi» sono quasi assenti, minima dove sono molti. L’uomo resta uomo: per natura un animale sociale, che ha bisogno di rapporti. Anche gli studi storici sugli scontri razziali e i genocidi lo provano. Non è difficile attizzare l’ostilità verso un gruppo sconosciuto. Conoscere personalmente «l’altro» è invece la difesa migliore contro le nostre paure.