La Stampa 29.10.18
Via le pensioni agli ebrei vittime delle leggi razziali e ai perseguitati dal fascismo per motivi politici
di Andrea Carugati
Il
decreto fiscale spazza via il sostegno dello Stato per perseguitati
politici e razziali, oltre che per i pensionati di guerra. Un taglio da
50 milioni al Fondo istituito al ministero dell’Economia, con effetto
immediato.
E così, a ottant’anni esatti dalle leggi razziali, la
maggioranza giallo-verde taglia gli assegni previsti fin dal 1955 per
chi aveva subito la persecuzione fascista perché di religione ebraica o
per le idee politiche. Assegni di modesta entità, circa 500 euro al
mese, destinati a persone nate prima del 1945, dunque sopra i 70 anni.
Si tratta di alcune migliaia di cittadini, che rischiano di non vedere
già gli assegni di novembre e dicembre. Persone che hanno avuto diritto a
questo vitalizio come «gesto riparatore» per aver perso il lavoro o il
diritto di andare a scuola dopo il 1938, o perché costretti a fuggire
all’estero.
La decisione è contenuta in un allegato al decreto
fiscale, insieme ad altri tagli che riguardano il sostegno alle famiglie
e alle imprese. Una sforbiciata che rientra nella spending review che
il governo ha attuato per fare cassa e trovare le coperture per la
manovra. Ma che colpisce per il suo valore simbolico. Anche perché -
questo il fondato timore dell’Unione delle comunità ebraiche italiane -
non si tratterebbe di una riduzione dell’assegno, ma di una vera e
propria cancellazione. La legge varata nel 1955 porta il nome del
senatore comunista Umberto Terracini, e per circa trent’anni ha
riguardato prevalentemente i perseguitati politici. Poi, dal 1986,
grazie a un intervento della Corte costituzionale, nella commissione
governativa che eroga gli assegni è stato inserito anche un
rappresentante delle Comunità ebraiche. Da allora l’accesso a questo
istituto si è diffuso anche tra gli ebrei italiani, sia quelli che hanno
vissuto gli anni delle persecuzioni sia -in via indiretta- i coniugi e
gli orfani con un reddito annuo sotto i 17 mila euro.
Una
procedura non semplice. Gli aventi diritto devono fare domanda alla
commissione e documentare gli atti persecutori che li hanno colpiti,
come ad esempio le lettere delle scuole che li hanno esclusi dopo il
1938. Documenti vecchi di decenni e difficili da reperire.
Tra gli
ebrei italiani la notizia ha suscitato un forte sconcerto. La
presidente dell’Ucei Noemi Di Segni ha scritto al premier Giuseppe
Conte, al ministro dell’Economia Giovanni Tria e al sottosegretario alla
presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, che ha la delega per i
rapporti con le confessioni religiose e per le attività dedicate alla
memoria. Di Segni ha anche chiesto di poter essere sentita dalla
commissione Finanze del Senato che da oggi esaminerà il decreto fiscale.
L’obiettivo
di questo «appello morale» è arrivare a un ripensamento da parte della
maggioranza, almeno in fase di esame parlamentare del decreto. C’è tempo
infatti fino a Natale prima della definitiva conversione in legge. E
per evitare che partano le raccomandate in cui lo Stato informa i
perseguitati che, dal 2018, non si sente più in dovere di riparare
l’immenso danno che hanno subito. Neppure con un piccolo assegno.