Corriere 29.10.18
Anticipazione Esce domani per Adelphi il nuovo volume dello scrittore e saggista
La sapienza di Browne
Un medico come guida tra i segreti degli Egizi
Ermetismo e geroglifici, il percorso tracciato da Roberto Calasso
di Emanuele Trevi
Nella
schiera degli immortali di cui conviene sfogliare i libri almeno una
volta nella vita, Thomas Browne sembra occupare, con tutto
l’inconfondibile splendore della sua prosa, la sua nobiltà d’animo, la
sua prodigiosa cultura, un luogo sorprendentemente defilato. Bisogna
ammettere che la sua grandezza può apparire, a prima vista, secondaria e
derivata, come di chi guarda il mondo nella lente di ciò che altri,
prima di lui, ne hanno detto o scritto, la citazione prevalendo
sull’esperienza diretta, sull’invenzione. Ma basta un po’ di
consuetudine con le pagine di questo medico inglese, vissuto tra il 1605
e il 1682 in filosofica armonia con se stesso e con il prossimo, perché
la nostra idea della letteratura si arricchisca e si modifichi in modo
irreversibile: così come, per citare un suo contemporaneo, la visione di
un quadro di Velázquez potrà sconvolgere nel modo più propizio ciò che
fino a quel momento intendevamo per pittura.
Quanto a Browne, in
una pagina di suprema e abbagliante eloquenza, si mostra del tutto
immune dall’illusione di durare nella memoria dei posteri: di
«incorruttibile», infatti, c’è solo... «l’oblio», e non esiste «nulla di
rigorosamente immortale, a parte l’immortalità», la quale, come si sa,
non rientra nelle nostre prerogative. Eppure, l’albo d’oro degli
ammiratori di Browne non ha nulla da invidiare a quelli di Shakespeare o
di Milton: se esistono molti «scrittori per scrittori», Browne sembra
appartenere alla cerchia più ristretta degli «scrittori per grandi
scrittori».
Limitandomi ai primi esempi che mi vengono in mente,
ricorderò Edgar Allan Poe, Herman Melville, che definiva lo scrittore
inglese un «arcangelo», e Jorge Luis Borges, che in un appassionato
saggio giovanile (raccolto nelle Inquisizioni del 1925) vedeva
nell’opera di Browne «un dono di bellezza» del quale desiderava
sdebitarsi, e che non smise mai di rileggerlo e citarlo. Tra gli autori
più recenti, non si può omettere il ricordo di un capolavoro della prosa
contemporanea come Gli anelli di Saturno di Winfried Georg Sebald, che è
forse lo scrittore che è stato più capace di ispirarsi all’erudita
sublimità, al ritmo maestoso della prosa di Browne. Non so quanto
fondata, ma molto suggestiva, è anche l’ipotesi di Sebald che ha creduto
di riconoscere Browne (che aveva studiato medicina in Olanda, dopo
essere passato per Montpellier e Padova) in uno degli studenti della
Lezione di anatomia di Rembrandt.
Un classico rimane tale fin
tanto che c’è qualcuno che ci lavora sopra, non importa se praticando la
più severa filologia o adoperando gli strumenti meno sicuri
dell’empatia e della fantasia. E un posto di rilievo nella lunga fortuna
di Browne spetta di sicuro anche a Roberto Calasso, che dieci anni fa
ripubblicava nella «Biblioteca Adelphi» la Religio Medici, capolavoro
giovanile composto da Browne intorno ai trent’anni e apparso nel 1643.
L’edizione, arricchita da un poderoso commento di Vittoria Sanna, era
introdotta dallo stesso Calasso, che per l’occasione aveva rispolverato
la parte iniziale della sua tesi di laurea, discussa a Roma con Mario
Praz nel 1966.
Ora quella stessa tesi di laurea viene ristampata
integralmente con il titolo I geroglifici di Sir Thomas Browne
(Adelphi). È una lettura a volte ardua, ma avvincente, che una volta
ammessa la straordinaria qualità stilistica della scrittura di Browne la
sottrae al sospetto dell’esercitazione gratuita e della laboriosa
inezia da topo di biblioteca, rivelando un’impalcatura di pensiero e un
metodo di vertiginoso rigore.
Chi ama i libri di Calasso potrà
riconoscere in questo lavoro giovanile anche l’omaggio precoce a un
maestro di cui si è perfettamente appresa la lezione. La prima
difficoltà che l’interprete di Browne deve affrontare è quella di
definire esattamente gli argomenti e i propositi di un’opera che sembra
sempre procedere in maniera obliqua se non tortuosa, accumulando un
numero inverosimile di dettagli come se ogni pagina fosse la vetrina di
un museo di curiosità storiche e naturali.
Saggi o meditazioni che
li si voglia definire, questi testi sono la manifestazione concreta di
un atteggiamento mentale a cui si addice perfettamente la definizione di
«ermetismo». È lo stesso Browne, nella Religio Medici, a richiamarsi
alla «filosofia di Hermes», intesa come una disposizione a riconoscere,
in ogni minimo dettaglio dell’universo visibile, la cifra o ancora
meglio il «geroglifico» di una realtà superiore, di per sé inattingibile
dai sensi. Tutto ciò che esiste, dunque, è una scrittura arcana, la
cifra paradossale di una realtà trascendente che si manifesta in una
labirintica proliferazione di enigmi, simboli, prodigi che divengono
eloquenti agli occhi capaci di vedere e alle orecchie disposte ad
intendere.
Se Thomas Browne afferma con tanto orgoglio, fin dal
titolo della sua opera maggiore, la sua condizione di medico, ciò si
deve al fatto che, se il destino dell’uomo è quello di interpretare con
sempre maggior sottigliezza i segnali capaci di condurlo a un livello
superiore della realtà, lo scienziato è il carattere mistico supremo.
Con tutto il suo dichiarato rispetto per l’ortodossia anglicana, questa
preminenza spirituale dell’osservazione naturalistica sulla speculazione
teologica è un tratto di indiscutibile, profetica modernità del
pensiero di Browne. Non sono forse i fisici e i biologi i veri
intelletti metafisici dell’umanità odierna?
È pur vero che i più
grandi profeti sono anche i più fedeli figli del loro tempo, e il suo
tempo fornisce all’autore della Religio Medici un modello formidabile di
indagine «spirituale» nella materia. Mi riferisco all’alchimia, capace
di rovesciare con i suoi procedimenti l’angoscia del deperimento e della
mortalità nella più luminosa delle speranze, che è quella di un destino
da rintracciare nell’oscurità e nel caos dei fenomeni e delle loro
cause.
Agli occhi del medico, tutto ciò che esiste non è altro che
un’immensa, irreparabile combustione, ma la cenere che ne deriva è
l’oro del mondo, vita che si afferma nel cuore della morte, perpetua
rigenerazione delle forme nella dissipazione dei corpi che
transitoriamente le contengono. L’uomo, afferma Browne con una delle sue
indimenticabili definizioni, è un «processo dissolutivo» che però non
conduce al Nulla, ma all’«ultima e gloriosa quintessenza» che attende
imprigionata nella materia.
Ogni frase di Browne è come un bacino
in cui convergono molti fiumi di sapienza, antichi e moderni. E nessuno
meglio di Roberto Calasso è in grado di guidarci nei segreti di un
metodo che fa di ogni minimo dettaglio del visibile la cifra, il
geroglifico dell’invisibile, e di ogni aspetto perituro della vita «la
dimora degli Angeli».