martedì 23 ottobre 2018

La Stampa 23.10.18
Faurisson, dove osano i negazionisti
La Soluzione Finale? “Un pacifico trasferimento di ebrei”. Le camere a gas? “Mai esistite”
di Elena Loewenthal


Se ricordare la storia della Shoah è diventato un imperativo morale lo si deve anche a Robert Faurisson, lo storico francese negazionista nato nel 1929 e morto ieri a Vichy. Per lui le camere a gas non erano mai esistite perché tecnicamente non potevano funzionare, sulla base di presunti studi dedicati alla forma delle porte, alle dimensioni dei pertugi da cui passava lo Zyklon B. Per lui Hitler non aveva mai neanche pensato di perseguitare chicchessia a causa della sua razza o della sua religione, per lui il diario di Anne Frank - sul quale si accanì con una attenzione degna di un manuale di psicanalisi più che di storiografia - era un falso. Per lui la conferenza di Wansee del 1942, in cui venne costruita la strategia operativa della Soluzione Finale, fu dedicata all’organizzazione di un pacifico trasferimento delle masse ebraiche verso Est.
Nato a Shepperton, Inghilterra, da padre francese e madre scozzese, Faurisson si era laureato alla Sorbona e aveva fatto l’insegnante di Lettere nei licei - venendo peraltro ripetutamente segnalato alle autorità scolastiche per le sue invettive razziste - prima di avviarsi nel 1969 alla carriera accademica. Dal 1973 al 1980 insegnò letteratura contemporanea presso la Seconda Università di Lione. Il 29 dicembre 1978 pubblica su Le Monde un testo intitolato «Il problema delle camere a gas», in cui si dichiara convinto che non siano mai esistite. Nelle settimane successive escono sul giornale francese molte obiezioni e testimonianze, a firma fra gli altri di Pierre Vidal-Naquet e di Léon Poliakov. A seguito di questo affaire, Faurisson viene sospeso dall’università e dal 1980 sino al suo pensionamento è trasferito su sua richiesta al Centre National de Télé-Enseignement (Cnte).
Se l’episodio del 1978 sta al centro della sua vicenda, la carriera «intellettuale» di Faurisson è costellata di tali esternazioni. La sua cifra culturale fu sempre la provocazione, la negazione della Shoah fu l’ossessione della sua vita. E di negazione si trattava, non di revisionismo critico. Faurisson scagliava le sue tesi, formulava le sue domande retoriche, osservava il panorama di repliche e il polverone che ne veniva fuori costituiva per lui l’evidenza del fatto che non esistesse prova alcuna per dimostrare che la Shoah fosse avvenuta.
Il primo «affaire Faurisson» innescò infatti una catena di «scandali» che il 1980 e il 1990 lo coinvolsero insieme con altri personaggi della galassia negazionista, di cui il più celebre adepto è il britannico David Irving: dalla difesa pubblica di militanti neonazisti al lancio di tesi sostenute da oscuri personaggi come Jean-Claude Pressac, al sostegno del negazionismo di Stato iraniano.
Forse era inevitabile che l’evento più assurdo della storia umana - lo sterminio di sei milioni di persone che, non va dimenticato, sarebbe stato l’anticamera per la costruzione di una «umanità» selezionata in cui solo gli ariani avrebbero avuto licenza di esistere - diventasse così presto l’oggetto di una stortura pseudo-storiografica. Come è stato possibile che, a poco più di trent’anni dai campi di sterminio, si negasse quella storia e ci si costruisse intorno un vero e proprio movimento d’opinione? Non erano bastate le testimonianze, le baracche di Auschwitz, il silenzio di milioni di persone sparite nel fumo dei forni crematori, a conferire alla Shoah la «dignità» della certezza.
Sarà proprio la sua natura di catastrofe inaudita ad aver dato in qualche storto modo manforte alla scuola negazionista di cui Faurisson è stato il capostipite e rimane ancor oggi il maître-à-penser. Una mente umana sana non può accettare quella storia. Eppure è stata, e non fu una mostruosa devianza: si deve accettare quello che è stato come parte innegabile del nostro passato. I negazionisti non lo accettano. Da Faurisson in poi, e con i suoi scritti non di rado deliranti come punto di riferimento, cercano di dimostrare che non è mai avvenuta, perché non era possibile che avvenisse. E dalla negazione alla nostalgia per quel tempo in cui la Shoah non sarebbe mai avvenuta, il passo è pericolosamente breve.

1 La prima delle sei installazioni che compongono il percorso multimediale della mostra, da oggi al 27 gennaio nel palazzo del Quirinale. 2. Il Presidente Sergio Mattarella (accompagnato dall’esperto di installazioni multimediali Paco Lanciano) tra i vagoni piombati ricostruiti in mostra. 3. La pagella che annunciava l’espulsione dalle scuole di tutti gli insegnanti e gli studenti ebrei per decisione del governo