giovedì 18 ottobre 2018

La Stampa 18.10.18
Palazzo Chigi e la notte del thriller
di Francesco Bei


Una crisi di governo-Snapchat, che si cancella da sola nel giro di pochi minuti, il tempo di una puntata di Porta a porta. Un vero thriller, con la caccia al colpevole ancora in corso, che arriva a scuotere la maggioranza: mai nella storia italiana si era visto un governo rivolgersi a una procura della Repubblica e denunciare se stesso per un atto approvato dal Consiglio dei ministri. Un annuncio quasi surreale quello di Luigi Di Maio, che ha lasciato a bocca aperta tutti gli spettatori, da ieri sera finalmente consapevoli del livello lisergico a cui è arrivata la lotta politica nel nostro Paese.
Di fronte a un vicepremier che minaccia una denuncia penale contro ignoti per un atto legislativo che sarebbe stato alterato nella sua trasmissione da Palazzo Chigi al Quirinale, c’è da alzare le braccia. A parte il fatto che a Mattarella ancora nessuno ha trasmesso nulla, come è trapelato con qualche irritazione dal Colle, resta da chiedersi come si svolgano i Consigli dei ministri di questa maggioranza. C’è qualcuno che legge quello che vota oppure ci si affida alla trasmissione orale, sperando che il sottosegretario che verbalizza la riunione abbia compreso bene?
La circostanza denunciata da Di Maio è comunque di una gravità assoluta, sia per il dilettantismo che rivela nel maneggiare materie così delicate, sia perché ci fa comprendere quanta fiducia ci sia tra i partner di governo. Stavolta appare infatti poco credibile la teoria della «manina invisibile» di qualche tecnico che abbia alterato il decreto fiscale introducendovi lo scudo per gli immobili e i capitali detenuti all’estero e la depenalizzazione dell’evasione. Guarda caso proprio le materie che da giorni la Lega sta provando a infilare nel decreto e che fino a martedì sera sarebbero dovute finire in un emendamento parlamentare alla manovra.
Chiaro che prendersela ancora una volta con i tecnici del ministero dell’Economia cela altro, sembra piuttosto una teoria di comodo per nascondere il vero bersaglio polemico del movimento Cinque Stelle: la Lega e quella voglia matta di condono tombale che fin dal primo giorno Salvini vuole introdurre nel decreto. Prendersela, come ha fatto ieri Di Maio, con le «manine ministeriali», gridare al complotto, è certamente più facile che indicare nomi e cognomi del partito alleato. Ma la tensione nel governo è altissima e negli ultimi tempi personaggi strategici della squadra - come ad esempio il sottosegretario Giancarlo Giorgetti – sono finiti nel mirino della componente grillina che li accusa di boicottare la luminosa marcia del Movimento verso la Manovra del Popolo. La realtà è che fin da subito, dalla negoziazione del Contratto, si era capito che i due partner della maggioranza – cementati in maniera opportunistica dal potere e dalla comune avversione alle élite – sono in realtà molto divisi sul programma. La coperta del Contratto, come si vede, non riesce a nascondere del tutto queste divisioni e si palesa come mera giustapposizione di istanze diverse, talvolta opposte. Le distanze restano profonde, sono culturali (una volta si sarebbe detto ideologiche) prima che politiche. E la disfida sul condono le contiene tutte: l’ossessione grillina di non apparire «come quelli di prima», l’occhio strizzato agli evasori da parte della Lega, il giustizialismo M5S contro il condonismo lumbard, le «manette agli evasori» contro chi pensa che in fondo il privato sia giustificato quando decide di difendersi dalle eccessive richieste fiscali dello Stato.
La sceneggiata di Di Maio non poteva capitare in un momento peggiore, nel giorno in cui il commissario al Bilancio Guenther Oettinger rivela il segreto di Pulcinella, ovvero che l’Ue respingerà la manovra italiana. A questo punto il dubbio è lecito: a Bruxelles quale testo hanno ricevuto? Sono davvero sicuri di avere sotto gli occhi una versione ufficiale e vidimata del bilancio italiano? Moscovici, che oggi sarà a Roma per incontri al più alto livello, farebbe bene a informarsi.
Luigi Di Maio ha consigliato polemicamente a Oettinger e a tutti i commissari europei di «iniziare a comportarsi da persone serie e mordersi la lingua tre volte prima di fare dichiarazioni». Non sarebbe sbagliato se la stessa prudenza del signor Palomar di Calvino il nostro vicepremier l’applicasse anche a se stesso. Certo, farebbe qualche diretta Facebook in meno, ma forse per il Paese non sarebbe una perdita irreparabile.