giovedì 18 ottobre 2018

La Stampa 18.10.18
“L’analisi è utile anche nel mondo iperconnesso”
di Roselina Salemi


La frase è abusata. «Mi sento rinato». Rinascere si può, riparando gli strappi dell’anima, da soli o con l’aiuto, di un altro «Siamo di fronte alla morte (la fine dell’amore, la crisi nel lavoro) e qualcosa è stato distrutto. Dobbiamo affrontare e superare questa spinta distruttiva». A parlare è Silvia Lippi, ricercatore all’Università di Parigi 7 e docente dell’Irpa, Istituto di Ricerca della Psicanalisi Applicata, in libreria con Sigmund Freud. La passione dell’ingovernabile (Feltrinelli), e ospite del Festival KUM! di Ancona. Il tema è «Risurrezioni». E sì, per Silvia Lippi «è possibile rinascere grazie alla psicanalisi».
Quando e come?
«Dobbiamo alimentare il desiderio di vita, e la spiegazione del presente è sempre nel passato. Il dopo è determinato dal tuo punto di vista, o dalla capacità di vederti da fuori. Davanti a un fallimento la reazione più comune è il vittimismo. Invece non lamentarti, pensa a una soluzione, non aspettare che arrivi un altro a salvarti. La risurrezione laica è una decisione del desiderio».
Cioè, se impariamo a desiderare possiamo riorganizzare la nostra esistenza?
«Sì, l’ideale è il nostro nemico. Può essere paralizzante. Il desiderio permette di agire con piccoli movimenti, niente di eccezionale (Lucrezio lo chiama clinamen, una piccola deviazione degli atomi) e alla fine arriva il cambiamento. Con la parola, con lo sguardo, con l’incontro. Così si rinasce. Ci siamo sottomessi a un’idea di ascesa e di caduta, dobbiamo accettare un’idea di mutazione e varietà. Non vedere solo le cose che finiscono».
C’è differenza tra uomini e donne?
«La donna ha un’apertura maggiore, è più capace di vivere secondo il desiderio, senza il narcisismo della potenza maschile. Può diventare amministratore delegato ma esercitare il potere in maniera diversa, smascherarne l’inganno. Non tutte lo fanno, e allora replicano uno schema di aggressività extravirile. Perché si cerca il denaro o il potere? Per ottenere il godimento. Eppure questa ricerca ansiosa ti toglie proprio il godimento. Ti ritrovi a desiderare il potere in sé, come fine e non come mezzo, come una qualunque dipendenza: da internet, dai videogiochi…».
E nella coppia?
«Immagino una coppia dove l’amore non sia il centro ma parte della costruzione. Un famoso filosofo ha sposato una donna alla quale non ha mai detto “ti amo”. Ma “vorrei sposarti perché mi piace come metti in ordine i cassetti”. A parte l’originalità e la simpatia c’è il dare valore alla singolarità. E’ sull’incontro delle due singolarità che la coppia rinasce e diventa una potenza».
Ma oggi, in una società frammentata e iperconnessa ha ancora senso la psicoanalisi?
«È quanto mai attuale. Usa un frammento, di storia, di sintomi, e la nostra epoca è fatta di frammenti. Che sia un tempo non finalizzato è vero. Ha un effetto, e potrebbe non essere quel che cercavi. Per esempio, un uomo ha un problema con una donna: la sposo o no? (lei l’ha messo di fronte a un aut-aut, deve decidere). Grazie al lavoro analitico scopre qual è il suo vero desiderio e potrebbe essere un no, una rottura».
Viviamo nel mondo delle terapie brevi. Woody Allen è stato in analisi tutta la vita, con scarsi risultati, sostiene…
«E’ vero, oggi è tutto veloce. Se la terapia breve funziona, perché no? Ci sono tanti fruttivendoli: ognuno compra dove è convinto di trovare il prodotto migliore. Però non è detto che liberarsi di un sintomo sia la soluzione definitiva. Spesso ne scompare uno e ne appare un altro. Lo sviluppo più importante è quello che ha dato in Italia Massimo Recalcati (direttore scientifico di Kum! ndr.) con i centri Jonas, con la psicoanalisi sociale in 20 città, la cura che incontra la gente. L’analisi è sempre soggettiva, ma fenomeni come l’anoressia, la bulimia, le dipendenze, hanno un contesto e un riferimento collettivo. Se dovessimo usare uno slogan, sarebbe: “L’inconscio per tutti”».