La Stampa 18.10.18
Freud signore degli anelli
Ritrovati gli antichi sigilli che il padre della psicanalisi donava agli allievi più fedeli
di Ada Treves
Tre
luoghi fondamentali, tre case trasformate in musei: Příbor, dove
Sigmund Freud è nato nel 1856; Vienna, con le stanze dove ha vissuto per
47 anni e in cui ha scritto la maggior parte delle sue opere; Londra,
dove il padre della psicanalisi si rifugiò con la famiglia dopo
l’Anschluss - l’annessione dell’Austria alla Germania nazista nel 1938 -
e fino alla sua morte, nel settembre dell’anno successivo. A Příbor -
Freiberg - città della Moravia all’epoca parte dell’Impero austriaco e
oggi si trova nella Repubblica Ceca era Sigismund Schlomo, figlio di un
commerciante di lane ebreo che poco dopo decise di trasferirsi a Vienna,
dove il giovanissimo Freud proseguì gli studi, e decise di abbreviare
il proprio nome in Sigmund.
Come in una saga
Inventore della
psicanalisi, termine che usò in maniera formalizzata per la prima volta
in due articoli del 1896, considerato uno dei personaggi più influenti
vissuti tra 800 e 900, Freud è protagonista di due mostre molto diverse.
Freud of the Rings - Freud degli anelli - aperta fino a marzo 2019
all’Israel Museum di Gerusalemme è nata dalla curiosità di una giovane
curatrice del museo, Morag Wilhelm, dopo il ritrovamento tra gli oggetti
della collezione di una scatoletta di cartone su cui compariva la
scritta «Freud Nike». Dentro, un anello con incastonata una pietra che
raffigurava la dea della vittoria, appartenuto alla paziente di Freud e a
sua volta psicanalista Eva Rosenfeld.
Non è l’unico, ed è
collegato a una storia che porta a pensare alla Compagnia dell’anello
così come la racconta Tolkien nel primo volume della sua saga: Pyllis
Grosskurth in The Segret Ring: Freud’s Inner Circle and the Politics os
Psychoanalysis spiega come dopo la rottura del 1912 con Carl Gustav
Jung, suo discepolo e sino ad allora suo erede, si fosse costituito un
Comitato segreto composto dai più prossimi collaboratori di Freud: Karl
Abraham, Sándor Ferenczi, Otto Rank, Ernest Jones e Hanns Sachs. Furono
loro i destinatari dei primi anelli: discepoli analizzati direttamente
dal maestro, rappresentanti della teoria psicoanalitica pura destinati a
costituire una roccaforte non ufficiale all’interno della Società di
Psicoanalisi. Le pietre, con incisa una divinità, venivano dalla
collezione di arte antica di Freud, che a sua volta portava sempre al
dito un sigillo risalente ai tempi dell’antica Roma.
Hanns Sachs,
nel suo testo del 1944 intitolato Freud, maestro e amico (pubblicato in
italiano da Astrolabio nel 1973), scrisse che «Il dono degli anelli
aveva un preciso significato simbolico: ci ricordava che ogni nostro
reciproco rapporto aveva lo stesso centro di gravità. Ci faceva sentire
che appartenevamo a un gruppo nel gruppo, quantunque senza alcun legame
formale o il tentativo di diventare un’organizzazione separata».
L’Israel Museum espone sei dei circa venti anelli che anche in seguito
Freud donò ad alcuni dei discepoli in segno di riconoscenza e di stima,
tra di essi oltre a quello di Rosenfeld, gli anelli di Ferenczi, Ernst
Simmel e della figlia di Freud, Anna, accanto a una selezione delle sue
statuette antiche.
Dallo sguardo all’ascolto
Molto diversa
la mostra aperta da pochi giorni al MahJ, il Museo di arte e storia
ebraica di Parigi, curata dal critico d’arte Jean Clair - già direttore
del Museo Picasso di Parigi e curatore della Biennale di Venezia del
centenario - intitolata Du regard à l’écoute
, Dallo sguardo
all’ascolto: visitabile fino a febbraio del prossimo anno, è la prima
organizzata in Francia sul padre della psicanalisi, che pure tra il 1885
e il 1886 visse a Parigi, dove era giunto per studiare con Jean-Martin
Charcot. Un percorso intellettuale e scientifico che attraverso alcune
grandi opere d’arte - dalla Lezione di Charcot alla Salpetrière di
Broullet a Courbet con L’origine del mondo a Klimt, da Magritte, Max
Ernst e Mark Rothko a Oskar Kokoschka e Egon Schiele - porta alla
scoperta del suo lavoro come neurologo, a Vienna e Parigi, e del suo
interesse per la biologia. E racconta come, nonostante la passione di
Freud per l’arte, la psicoanalisi sia cresciuta nell’assenza di
rappresentazioni visive basandosi esclusivamente sulla parola e
sull’ascolto, in continuità con l’eredità di Mosè che aveva proibito al
suo popolo di farsi delle immagini.
E se nel Novecento la
psicoanalisi si è ulteriormente evoluta confluendo in altre teorie,
contribuendo alla nascita di altre scuole, se fra ricerche e studi
scientifici che ne esaltato i benefici per i pazienti e altri che ne
ridimensionano la portata, il dibattito è ancora così acceso è perché il
segno che Freud ha lasciato è indelebile. Quasi un sigillo, come quello
che portava sempre al dito.