La Stampa 17.10.18
Le nonne aiutano i giovani a battere la depressione
di Federico Taddia
Riprendere
in mano la propria vita, mettendosi in panchina. E non perché si è
considerati una riserva - tutt’altro - ma perché su quella panchina puoi
trovare l’allenatore che non ti aspetti: una nonna. Ci sono rivoluzioni
che nascono per caso, per una necessità che scatena la giusta
intuizione. Rivoluzioni che mettono il seme in terre lontane,
dimenticate, per poi germogliare e diffondersi in direzione inattese.
Come quella della «Panchina dell’amicizia», innescata dal visionario
dott. Dixon Chibanda, uno dei soli 12 psichiatri dello Zimbabwe, Stato
africano da 16 milioni di abitanti. Nessuno sa nel suo Paese - vessato
da guerre civili, povertà e Hiv - quante persone soffrano di
«kufungisisa», parola che nella lingua shona significa «pensare troppo» e
che viene utilizzata per definire la depressione.
La stessa
depressione che nel mondo, ogni anno, colpisce qualcosa come 300 milioni
di persone e causa 800 mila suicidi all’anno. Pensare troppo, già.
Questo il male comune delle nazioni in via di sviluppo e di quelle che
si sviluppo ne hanno fin troppo. Male a cui il dott. Chibanda ha voluto
rispondere a colpi di panchine. In legno o in ferro, belle o brutte,
colorate o improvvisate: poco importa. Quel che importa è far sedere su
quelle panchine le persone che hanno bisogno di ritrovare un qualche
filo della propria esistenza, persone in corto circuito e che nel buio
del tunnel in cui sono finiti possano scorgere un barlume. Facendosi
aiutare da un esperto, un esperto di vita: un anziano. Nel solo Zimbabwe
sono state 400 le nonne coinvolte, una schiera di corpi stanchi ma
energici che ha accettato l’invito a rimettersi in gioco per la comunità
e per i giovani incapaci di «pensare meno». Nonne che sono state
allenate - se mai ce ne fosse stato bisogno - all’ascolto, al dialogo,
alla capacità di trovare insieme possibili soluzioni a problemi
apparentemente insopportabili. Chi ha già vissuto una vita, può farti
assaporare un gusto nuovo della tua esistenza. Farti vedere sfumature
celate. Suggeriti trame inesplorate.
E’ questa la «medicina»
pazientemente somministrata dalle nonne, che lo scorso anno sono andate
in soccorso di oltre 30 mila persone nel solo Stato africano. Per un
progetto che ha travalicato i confini, arrivando prima nel Regno Unito e
ora negli Stati Uniti: in migliaia in questi mesi si sono seduti sulle
panchine arancione installate a New York City. E dove anche i nonni sono
stati coinvolti. Non «umarells» che si accontentano noiosamente di
guardare i lavori in corso nelle vite altrui quindi, ma uomini che
entrano in punta di piedi in queste vite. Portando in dote quello che
più di prezioso hanno: l’esperienza. Una sorta di abbraccio generazione,
di ponte - solido e rassicurante - da sfruttare e amplificare come
opportunità. Riscoprire quelle saggezze, saggezze da vecchio, che rughe e
capelli bianchi sanno portare. Anche solo per un confronto. Una
chiacchiera. Un attimo insieme su quella panchina. Per non pensare
troppo, per pensare meglio.