lunedì 15 ottobre 2018

La Stampa 15.10.18
La Rivoluzione culturale di Mao, il “mondo nuovo” senza passato
di Madeleine Thien


Predecessori, avi e genitori. Da dieci anni a questa parte ho scritto di postumi e incipit della guerra. Ho scritto della guerra civile e del genocidio in Cambogia, accaduti quand’ero piccola.
Alla fine del romanzo, mi sono ritrovata di fronte a un numero inusitato di quesiti difficili: domande sull’ideologia e sulla rivoluzione, sulla giustizia sociale e sulla solidarietà e sul prezzo da pagare o da non pagare, per poter attuare un cambiamento radicale. E ciò mi ha condotto a ripensare profondamente alla Rivoluzione culturale cinese e alle dimostrazioni di Tienanmen del 1989.
Durante la Rivoluzione culturale venne detto a una generazione di studenti che avrebbero dovuto distruggere il vecchio mondo per portare il nuovo. Il vecchio mondo oggetto dell’attacco era il mondo della storia, del ricordo, della conoscenza e della famiglia. Un brano musicale, letterario, una poesia che una volta ci commuoveva, oppure una lettera del proprio padre che avrebbe potuto essere considerato un nemico di classe del popolo: tutto ciò era vietato, perché percolava dentro il proprio essere e ricablava la modalità di acquisizione dell’esperienza del tempo mentre si era vivi.
Tutto ciò era foriero del dubbio. Secondo il presidente del Partito, Mao, l’arte per l’arte e l’amore per l’amore, erano reati. Qualsiasi forma d’arte e d’amore doveva servire l’ortodossia predominante.
Trentasei milioni di persone vennero prese di mira e centinaia di migliaia persero la vita: suicidi compiuti da musicisti, insegnanti, professori, studiosi, scienziati e lavoratori - genitori e nonni - riflettevano una disperazione profonda e, forse, l’inabilità o il rifiuto di accettare il mondo degli assolutismi della Rivoluzione culturale.
Solo i giovani, sosteneva Mao, potevano avere il coraggio di distruggere i vecchi usi e costumi, la vecchia cultura e le vecchie idee. Radete tutto a zero con le fiamme, disse loro, distruggete e buttate tutto nella spazzatura.
Difficile racchiudere in parole l’orrenda tragedia della Rivoluzione culturale. Era una bugia - raccontata a una generazione di giovani che erano pronti a mettere a disposizione il proprio corpo in prima linea per i loro ideali. Mao insisteva nell’affermare che ciascuna generazione deve ricostruire da capo il mondo. E insisteva nel dire che il potere è la conseguenza di un fucile puntato addosso. Sosteneva che coloro che vogliono un mondo migliore non solo hanno il diritto ma anche l’obbligo di esercitare la violenza contro il prossimo. La rivoluzione mise popolo contro popolo, l’uno contro l’altro, e tuttavia lasciò intatta la struttura generale del potere. Più il Paese precipitava nel caos, più Mao rimaneva comunque saldo al potere.
Mi è dato credere che il momento attuale della nostra vita sia precario. Ai suoi tempi, Virginia Woolf vide tutto ciò con estrema acutezza: «È odio, è amore», scrisse nel romanzo Le onde. «È quel flusso nero come la pece che ci fa vacillare quando decidiamo di sporgerci a guardalo. Qui, stiamo ritti su un davanzale e se guardiamo verso il basso veniamo colti dalle vertigini…». «È amore, è odio», scriveva, «tuttavia il nostro odio è quasi indistinguibile dal nostro amore».
«Amare il mondo», rifletteva Hannah Arendt. «Perché è tanto difficile amare il mondo?». E comunque, si rese conto che le cose che odiamo sono le cose di cui cerchiamo di far piazza pulita. Allora, quale azione politica sarà mai possibile, se non amiamo proprio questo mondo? Sosteneva la necessità che il pensiero fosse carico di passione, che definiva «giudizio senza disprezzo, ricerca della verità priva di zelo».
Virginia Woolf, nei suoi romanzi, usa frequentemente l’immagine di una soglia. Porte per spostarsi dall’interno all’esterno, dal presente al passato, dal letterale al metaforico, da una generazione all’altra: la soglia indica che non esiste un muro irremovibile fra ciò che fu e ciò che sta arrivando ora, «nessun vuoto indistruttibile», come scrive la critica Marion Dell. A me, queste parole sembrano una preghiera e un manifesto: non vi è vuoto indistruttibile.