lunedì 15 ottobre 2018

Il Fatto 15.10.18
Euro, verso la stangata dopo l’addio alle monete da 1 o 2 centesimi
La Zecca non conia più i ramini e chi paga in contanti si vede arrotondare la somma
di Patrizia De Rubertis


C’è un fantasma che si aggira nei portafogli: sono le monetine da 1 e 2 centesimi. Odiate dai consumatori, rifiutate dai distributori automatici, impossibili da usare per il parcheggio delle auto e mal sopportate dai cassieri dei supermercati, dal 1° gennaio di quest’anno non vengono più coniate dall’Italia. E già questa notizia potrebbe essere una novità per i più. A cui aggiungere un’altra realtà fotografata in queste settimane: le monetine stanno cominciando a scarseggiare nei Paesi europei che già hanno deciso di mettere la parola fine alla loro produzione. Con un inevitabile conseguenza: il possibile aumento dei prezzi, anche se a tutt’oggi di statistiche ufficiali ancora non ce ne sono.
Come al solito, meglio fare un passo indietro per capirne di più. Dopo mesi di polemiche, la legge di Stabilità 2018 ha messo fine alla produzione delle monetine da 1 e 2 centesimi. Dal 1° gennaio la Zecca non conia più i ramini che continuano comunque a circolare fino ad esaurimento, mantenendo il loro valore legale. E per evitare il rischio del ritocco al rialzo dei prezzi, la norma ha già chiarito che nel caso di pagamenti in contanti i prezzi vengano arrotondati per eccesso o per difetto al multiplo di 5 più vicino. Ad esempio: 10,52 euro diventa 10,50 euro, mentre 10,58 euro diventa 10,60 euro. Del resto, è solo una questione di numeri: dall’ingresso dell’Italia nell’euro, le monetine rosse hanno raggiunto la cifra di oltre 6 miliardi di pezzi. E il cui peso è soprattutto economico: per ogni moneta da 1 centesimo i costi a carico dello Stato ammontano a 4,5 centesimi, mentre per ogni moneta da due centesimi si spendono 5,2 centesimi. Non certo un affare per lo Stato, che ha già spinto altri Paesi europei ad abolire le monetine da tempo. In Finlandia, nel gennaio 2002, si è deciso per l’arrotondamento dei prezzi ai più vicini 5 centesimi. Decisione seguita due anni dopo dall’Olanda, che risparmia in questo modo 36 milioni di euro l’anno. Nel 2010 è stato il turno dell’Irlanda e nel 2014 dal Belgio. Mentre in Italia la sospensione del conio permetterà di risparmiare circa 23 milioni di euro all’anno, un tesoro girato al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, nato nel 1993 con lo scopo di rimborsare o ritirare titoli di Stato dal mercato per favorire la riduzione dello stock del debito.
Fin qui l’analisi fredda dei numeri. Il punto è che, però, in questi giorni proprio da uno dei Paesi che ha già detto addio alle monetine è arrivata una notizia: come riporta EuropaToday, il Belgio si sta scoprendo povero di ramini. Nonostante il Paese abbia coniato 860 milioni di pezzi da un centesimo e 770 milioni da 2 centesimi, questa enorme montagna di ferro si è persa tra le tasche dei pantaloni, nei barattoli delle cucine, nel fondo delle poltrone o lungo le strade smettendo così di circolare. Il Paese ha chiesto alla Banca centrale europea (Bce) di stampare nuovi pezzi per far fronte alla carenza, ma Francoforte ha spiegato chiaramente che nell’eurozona non c’è penuria delle monete da piccolo taglio. Quanto piuttosto un uso sbagliato da parte dei cittadini. Tant’è che il ministero federale delle Finanze sta pensando di varare campagne nazionali di sensibilizzazione per indurre i belgi a portare le monetine in banca. Anche perché l’alternativa, nell’impossibilità di dare resti da parte dei commercianti, è l’arrotondamento dei listini. Che solitamente si fa al rialzo, a favore del commerciante.
Un allarme che per l’Italia è stato già profetizzato dall’Aduc. “Non credo di essere estremista sostenendo che tutti i prezzi subiranno un arrotondamento ai 5 centesimi successivi”, sostiene il presidente Vincenzo Donvito. Che spiega: “Quando cominceranno a scarseggiare anche da noi le monetine sarà un’ottima occasione per ritoccare ulteriormente i prezzi perché, in un contesto di importi precisi, saranno pochi i commercianti che continueranno a tenere prezzi in cui compaiono i 5 centesimi, ovviamente andando verso il rialzo. Del resto non si è mai visto un effetto al ribasso”. I calcoli sono presto fatti. “Se nel 2016, le famiglie italiane hanno speso quasi 11 miliardi e mezzo di euro per la spesa alimentare complessiva, partendo da un aumento medio dei prezzi dello 0,2% causato da un arrotondamento per eccesso (passando da 10,58 euro a 10,6 euro), si scopre che quella stessa spesa potrebbe aumentare di circa 23 milioni all’anno. Vale a dire il risparmio ottenuto dallo Stato non coniando i ramini. Vale allora la pena non produrre più queste monete?”, si chiede Donvito.
Tutto questo anche in attesa che la tecnologia modifichi i sistemi di pagamento saldando senza problemi di resto i prezzi che finiscono con 0,99 centesimi grazie ad app, carte di debito o credito. Ma, tutt’oggi, secondo la Bce, gli italiani continuano a pagare in contanti l’86% delle transazioni e solo il resto con carte, bonifici e assegni.