Il Fatto 15.10.18
Un prof italiano per Aleppo. “Così rinasce il minareto”
La
tecnica di Gabriele Fangi, docente dell’ateneo di Ancona, per
restituire alla città siriana martoriata dalla guerra uno dei suoi
simboli storici
di Pierfrancesco Curzi
Nell’agosto
del 2010 il professor Gabriele Fangi, docente di topografia e
cartografia dell’Università Politecnica di Ancona, si trovava ad Aleppo.
Esperto ed appassionato di Siria e delle sue ricchezze archeologiche e
artistiche, scattò delle foto molto approfondite della Grande Moschea,
soprattutto del suo splendido minareto, eretto nell’VIII Secolo e
rarissimo pezzo di magnificenza. Non immaginava certo, il professor
Fangi, che pochi mesi dopo la Siria sarebbe piombata in un incubo senza
fine: dalle proteste di piazza alla guerra al terrorismo, da un
conflitto intestino all’escalation internazionale, con il campo di
battaglia esteso a tutto il Paese.
La stessa Aleppo, rimasta al
centro del fuoco incrociato per cinque anni, fino alla resa dei conti
dell’autunno 2016. Prima l’assedio, la distruzione e lo svuotamento
della parte est della città, la popolazione civile trasformata in
bersaglio, poi l’armistizio, le fazioni ostili evacuate e trasferite
nella vicina provincia di Idlib. Fangi non immaginava, inoltre, che
quegli scatti sarebbero diventati vitali, otto anni più tardi, per
avviare l’opera di ricostruzione del minareto. Il 24 aprile del 2013,
giorno in cui è stato abbattuto, lo studioso si è sentito travolto dalla
Storia, come ci racconta oggi via Skype proprio da Aleppo: “Mi trovavo
in facoltà ad Ancona quel mattino, era un mercoledì. Più tardi appresi
la notizia e ripensai a quel viaggio. All’epoca avevo partecipato ad una
gita organizzata proprio dall’ateneo dorico, non era la mia prima volta
in Siria. In questi anni è stato molto doloroso seguire le cronache.
Tornare qui oggi, ad Aleppo, trovarmi davanti solo macerie e lo skyline
privo del meraviglioso minareto, è devastante. Adesso aiuto le autorità
siriane a rimetterlo in piedi e farlo tornare al suo antico splendore”.
Gabriele Fangi sta collaborando, gratuitamente, con i membri del
Comitato per la Ricostruzione della moschea, minareto incluso. Scatti
cruciali i suoi. Immagini unite ad una tecnica innovativa ideata dallo
stesso Fangi, la fotogrammetria sferica, ossia il ricampionamento
tecnico delle rappresentazioni cartografiche: in pratica la
ricostruzione di un mosaico di scena, con le tessere messe a confronto
singolarmente e ordinate in modo da ricreare un puzzle preciso.
Obiettivo
finale, rimettere al proprio posto, così come in origine, i 2400
blocchi di pietra calcarea, tra parte emersa e fondamenta: “Ogni blocco
va identificato – aggiunge il professor Fangi – Un lavoro immane. Molti
di questi esemplari si sono spezzati, frammentandosi. La documentazione
muraria del minareto, messa a confronto con quella del 2010, è una vera e
propria indagine storica. Già il 40% dell’identificazione complessiva
delle pietre è stato fatto, siamo a buon punto, ma serviranno ancora
tempo e pazienza. Uno dei vantaggi della mia tecnica è quello di mettere
a disposizione immagini precise in tempo reale, in maniera molto più
rapida rispetto al concetto tridimensionale. Di rilievi, oltre ad
Aleppo, ne ho fatti tanti in passato, è probabile che il mio contributo
possa essere richiesto per i resti romani di Palmira, a cui ho dedicato
un libro scritto con Ahmet Denker e Minna Silver, Reviving Palmyra in
Multiple Dimensions: Images, Ruins and Cultural Memory”.
Il
ritorno nella città perduta e riconquistata per il professor Fangi va
oltre l’aspetto tecnico ed accarezza il profilo umano della nuova
Aleppo: “È spaventoso, il centro storico, patrimonio dell’umanità
Unesco, non esiste più, c’è da piangere. Secondo me sotto le rovine ci
sono ancora dei corpi. Nel resto della città, al contrario, la vita va
avanti normale, c’è tanta gente in giro. Le persone qui sono molto
cordiali, comprese le mie guide e il personale dell’organizzazione con
cui collaboro. Purtroppo mancano i turisti, al tempo ne arrivavano a
frotte. Pensi, nell’hotel dove soggiorno sono il solo ospite e i
negozianti, quando mi vedono, ringraziano il cielo, pensando ad una
ripresa del flusso. Di strada ce n’è ancora tanta da fare, le ferite
sono ancora aperte, ma percepisco una grande forza di volontà”. Da una
nazione frammentata in mille enclave, tra Isis, milizie sunnite, le
pressioni turche e le forze curde a nord-est, ora la Siria si sta
lentamente ricompattando dopo le battaglie vinte dal regime di Assad ad
Hama, Homs, Douma, Dara’a, Raqqa, Aleppo, appunto, e così via.
La
strategia e la campagna militare messa in campo dal presidente Bashar al
Assad, con il fondamentale appoggio della Russia di Putin, di Iran ed
Hezbollah, hanno avuto la meglio sull’intero fronte ribelle. All’appello
manca soltanto l’enclave di Idlib, accerchiata dalle forze pro-Damasco
e, a nord, dalla Turchia, ultimo bastione di resistenza delle milizie
ribelli sunnite ad un processo che, salvo colpi di scena, pare
irreversibile.
Così, sette anni e mezzo dopo l’inizio degli
scontri e con un fardello di almeno 300mila vittime, lentamente la Siria
cerca di tornare al passato e con essa Aleppo, la “perla” della storia e
del turismo. È il tempo della ricostruzione, fisica e dell’identità di
un Paese sconvolto. La fase-chiave passa anche attraverso i suoi
simboli. Tra cui il Minareto della Moschea degli Omayyadi, o Moschea di
Zaccaria, la più grande delle 41 erette nella “città del sapone”. Una
torre alta 45 metri, unica nel suo genere. Anni per erigerla, pochi
istanti di follia per distruggerla. Nei giorni di aprile del 2013 la
battaglia tra le forze di Damasco e i ribelli infuriava. Difficile, in
quei momenti, orientarsi e capire chi realmente ridusse quel pezzo di
Storia in macerie. Il dito, al tempo, è stato puntato su Jabhat al
Nusra, la costola sunnita di al Qaeda in Siria, trasformato e frantumato
in altre sigle e milizie radicali.
Le forze ribelli hanno
accusato il regime, ma c’è chi ha le idee chiare sulla paternità del
gesto: “I terroristi hanno distrutto il simbolo di Aleppo e dell’intera
cultura siriana, una ferita che ora stiamo cercando di rimarginare. Non
ci sono dubbi sulla responsabilità, a colpire è stato Abdul Qader al
Saleh, leader della milizia Liwa al Tawheed, legata al fronte al Nusra”,
azzarda Reme Sakr, direttrice del programma Living heritage, patrimonio
vivente, per conto della ong Syria Trust for Development, la cui
presidente è la first lady siriana, Asma al Assad: “Il lavoro del
professor Fangi – aggiunge Reme Sakr – è un dono molto prezioso perché
con le sue fotografie e la sua tecnica in 2-3 anni saremo in grado di
ricostruire il minareto nella maniera più fedele rispetto all’originale.
Grazie a lui e all’Italia”.