Il Fatto 15.10.18
La res pubblica” romana e il reddito di cittadinanza
di Orazio Licandro
Polemiche
roventi e incessanti gravano sul reddito di cittadinanza, la misura più
qualificante e identitaria del M5S. Ora, ci si può legittimamente
schierare a favore o contro; ritenerla un’azione utile a contrastare la
povertà o, al contrario, giudicarla come l’ennesimo intervento
assistenzialistico destinato in maniera preponderante al Mezzogiorno
segnato da una drammatica situazione occupazionale e da sacche, ormai
enormi, di povertà. Ciò che invece è indubbio è che non si tratti di una
novità. Non dobbiamo pensare ai parenti più recenti, al reddito di
inclusione di marca renziana o alla social card tremontiana; un esempio
del secolo scorso è la carta o tessera annonaria distribuita dal regime
fascista agli italiani nel corso della seconda guerra mondiale per il
razionamento dei beni di prima necessità: dal pane al frumento, dallo
zucchero ai grassi, per finire al sapone e alla legna da ardere,
comunque i bisognosi attendevano anche due mesi. Ma l’antenato vero e
diretto è la tessera frumentaria introdotta nel 123 a.C. da Gaio
Sempronio Gracco. La res publica romana si assumeva l’onere di vendere a
un prezzo politico (poco più di 6 assi al moggio) il frumento a tutti i
cittadini. In seguito, divenne strumento di distribuzione gratuita di
grano per attirare le simpatie della plebe, molto attiva durante le
elezioni, largamente praticato da Pompeo, Cesare, Augusto, con risvolti
non sempre commendevoli: molti padroni, per scaricare l’onere sullo
Stato, di mantenimento degli schiavi, li manomettevano e questi finivano
per ingrossare il novero degli aventi diritto alla razione gratuita di
frumento. Insomma, dall’antichità a oggi, la storia di questi strumenti
non appare segnata da grande fortuna.