La Stampa 11.10.18
Più di due ginecologi su tre sono obiettori di coscienza
di Paolo Russo
Se
c’è una categoria che ha accolto da tempo l’appello del Papa contro
l’aborto è quella dei ginecologi. Ben due di loro su tre fa obiezione di
coscienza, per ragioni di fede religiosa. Ma anche di carriera,
ammettono gli stessi rappresentanti di categoria, visto che altrimenti
si finisce per fare solo aborti, senza maturare altre esperienze
professionali, che privatamente rendono non poco.
Sul fatto che i
medici obiettori costituiscano un ostacolo all’interruzione volontaria
di gravidanza (Ivg) le opinioni però si dividono. Anche se l’ultima
relazione del ministero della Salute conferma il netto calo degli aborti
in Italia a 40 anni dalla legge 194 che li ha legalizzati. Le Ivg sono
ormai meno di 85mila, mentre erano 234mila nel 1983. E anche gli altri
indicatori confermano la tendenza. Il tasso di abortività, ossia il
numero di Ivg per mille donne tra i 15 e i 49 anni, è stato del 6,6 per
mille nel 2015, la metà rispetto a trent’anni fa. Un calo dovuto
soprattutto al fatto che il livello di istruzione è cresciuto e l’uso
dei contraccettivi pure, anche se l’Italia resta a fondo classifica in
Europa per uso di profilattici e affini.
Molto ha fatto e sta
facendo la «pillola dei cinque giorni». Il calo degli aborti va infatti
di pari passo con il boom delle vendite del farmaco, che dal 2015 le
maggiorenni possono acquistare in farmacia senza la prescrizione. In un
solo anno il numero confezioni vendute è passato da 16.796 a 83.346.
«Anche se non si capisce perché dopo aver tolto l’obbligo di ricetta si è
poi cancellato il farmaco anche dall’elenco di quelli che devono essere
obbligatoriamente disponibili in farmacia», denuncia l’avvocato
Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Luca Coscioni che si batte
per il pieno rispetto della 194, secondo i suoi sostenitori minacciata
dal fenomeno «obiezione di coscienza», che interessa oltre il 70 per
cento dei ginecologi. Percentuali che salgono sensibilmente al Sud con
punte dell’88% in Basilicata e dell’86% in Puglia. Del resto è proprio
dal Meridione che il maggior numero di donne è costretto a migrare in
altre regioni per ottenere il rispetto della legge. Magari rischiando di
far scadere i tre mesi che consentono di abortire, salvo che non ci
siano di mezzo altri problemi gravi di salute a far prolungare il
termine. Uno studio della Bocconi lo conferma: più alto è il numero di
obiettori, maggiore è la probabilità che una donna sia costretta ad
abortire lontano da casa. Senza dimenticare che in Italia il 40 per
cento dei reparti di ostetricia non ha un servizio di Igv. Percentuale
che sfiora il 60 per cento al Sud.
«Il problema in molte regioni è
stato però superato con l’utilizzo dei medici a chiamata», rassicura
Elsa Viora, presidente dell’Aogoi, l’associazione di ginecologi e
ostetriche.
«Dati alla mano la mancanza di medici che fanno aborti
è una fake news», insiste Assuntina Morresi, del Comitato nazionale di
bioetica, spiegando che «se fossero così pochi non si spiegherebbe come
mai l’11 per cento dei non obiettori venga assegnato a servizi diversi
dall’Ivg». Il problema è che il restante 89 per cento rischia di non
fare altro, «rinunciando così a maturare quella esperienza professionale
in sala operatoria e in ambulatorio, fondamentale per la carriera»,
spiega Antonio Chiantera, segretario nazionale Aogoi che punta l’indice
contro la scarsa prevenzione. «Il 28 per cento delle Ivg sono recidive
che potremmo impedire facendo informazione al momento del primo aborto e
rendendo gratuiti i contraccettivi, compresa la pillola del giorno
dopo». Che in farmacia non sempre si trova.