Il Sole Domenica 7.10.18
A colloquio con Pepe Mujica. Il modello sociale dell’ex presidente dell’Uruguay
Don Chisciotte truccato da Sancho Panza
di Roberto Da Rin
Lo
si vede camminare in via Tadino, a Milano, come fosse un pensionato del
quartiere. Arriva all’appuntamento in blue jeans, camicia bianca e
giacca azzurra, sorridente e cortese. Pepe Mujica è stato presidente,
tra il 2010 e il 2015, dell’Uruguay, un piccolo Paese sudamericano di
3,2 milioni di abitanti. Un presidente con mille anime, voci e colori.
Ora è un giovane di 83 anni capace di sognare, un visionario che dice
cose ispirate a un mondo migliore. Parla di felicità e induce a
riflettere sull’inarrestabile corsa a un consumo inutile che ci distrae
dalla vita, dall’amore, dalla condivisione.
Lo fa con la saggezza
di chi ha vissuto in galera una delle stagioni più bella della vita, tra
i 37 e i 50 anni. Quattordici, di cui 8 in isolamento, senza poter
leggere. Era membro del Movimento di liberazione nazionale dei Tupamaros
negli anni in cui le dittature militari latinoamericane torturavano e
annichilivano. Decine di migliaia i morti.
Pepe ne è
miracolosamente sopravvissuto e avrebbe potuto, legittimamente, serbare
immensi rancori. Invece no, con leggerezza e autenticità sorride della
pochezza delle società contemporanee.
Ricche solo apparentemente. In verità povere. Di umanità e di emozioni, incapaci di giocare con la vita.
Un
antropologo uruguayano ha definito Mujica come un Don Chisciotte
travestito da Sancho Panza. A lui piace l’idea, «è incredibile! È una
delle migliori definizioni che mi abbiano dato».
Nel libro Una
pecora nera al potere, Pepe Mujica, la politica della gente, scritto da
Andres Danza ed Ernesto Tulbovitz, edito dal Gruppo Lumi, dice di non
essere «povero», ma «parsimonioso» per mantenere la sua libertà. Per
farlo «occorre camminare con un bagaglio leggero». Racconta di dedicarsi
alle faccende di casa, lava i piatti, fa la spesa e dona la maggior
parte del suo stipendio ai poveri. Abita in una casa di tre stanze.
Presidente,
il suo disegno utopico non va controcorrente rispetto al flusso che
pare travolgere le nostre società ripiegate su interessi meschini ? «Ci
sono due livelli, uno collettivo, in cui credo sia necessario ripensare a
tutto, ai modelli economici applicati, allo smantellamento di questo
capitalismo fallimentare. Il secondo livello è invece quello che
afferisce alle nostre vite, alle nostre scelte. Si può avere una quota
di felicità qui e ora».
Sorride Pepe, con la bonarietà di chi dice
una cosa semplice e la consapevolezza che sarà recepita da pochi. «La
vita è una sola e se ne va in fretta. È pensabile che ci sia gente che
fa 3 ore al giorno di spostamenti per raggiungere il posto di lavoro?
Qual è la follia di un sistema economico che alimenta l’usa e getta ?»
In
cima ai suoi pensieri resta la politica. «Ebbene sì, è una passione,
non una professione. È una necessità antropologica della specie, siamo
gregari e abbiamo bisogno di vivere in società. Se diventa un mestiere
abbiamo perso tutti e tutto». L’Uruguay, stretto da due giganti,
Argentina e Brasile, è un piccolo Paese che spesso patisce le scelte
degli altri. Presidente Mujica, il pericolo di una chimera? «Gli
sviluppi culturali più importanti dell’Umanità sono avvenuti in piccole
comunità: la Grecia, le città del Rinascimento e alcuni angoli
dell’Asia».
Tra lui e la maggioranza dei politici vi è una
distanza siderale. Estraneità. «Mi ritrovo di più con alcuni scritti
politici degli anni 40 che lasciavano pensare. Quella era modernità».
La
conversazione con Pepe termina con un abbraccio e i pensieri rimandano
ad Albert Camus che nel suo Lo Straniero scrive che «l’inevitabile può
avere una via di uscita».