Il Sole Domenica 21.
Milton Mayer
Così il Führer conquistò i tedeschi
di Beda Romano
Quando
nel 1935 Milton S. Mayer si recò a Berlino il suo obiettivo di
corrispondente era di ottenere una ambita intervista con Adolf Hitler.
Non ci riuscì. Certo non poteva immaginare che sarebbe tornato nel Paese
a guerra conclusa e soprattutto che avrebbe scritto nel 1955 un
originale studio della società tedesca ai tempi del nazismo. They
Thought They Were Free – The Germans, 1933-1945 è stato appena
ripubblicato negli Stati Uniti. A una lettura attenta, contiene
straordinari richiami all’attualità politica e si rivela un utile
strumento di analisi per capire le vicende contemporanee.
Di
origine ebraica e tedesca, Mayer appartiene a una schiera di studiosi
americani della Germania nazista. Mentre Saul K. Padover in L’anno zero
(Utet, 2004) si ispirò ai suoi ricordi di soldato americano e William S.
Allen in Come si diventa nazisti (Einaudi, 2014) utilizzò statistiche
elettorali e sociali, Mayer scelse di investigare le esperienze
individuali, intervistando dieci uomini, «dieci piccoli
nazional-socialisti».
Gli intervistati appartengono tutti o quasi
alla piccola borghesia: bancari, insegnanti, negozianti, artigiani,
poliziotti, studenti. Conosciamo il fascino che il carisma del Führer
suscitò su un popolo frustrato dal Trattato di Versailles e impoverito
dalla Grande Depressione, così come i meccanismi di irrigimentazione che
segnarono la Germania di quel periodo. Più interessante è capire come e
perché i tedeschi assecondarono il crescente e visibile autoritarismo
del regime nazista.
La risposta è contenuta nel titolo del libro.
Almeno all’inizio, il nazismo offrì ai tedeschi l’impressione illusoria
di maggiore libertà. Liberi dalle sanzioni imposte alla Germania dopo la
Grande Guerra. Liberi dalla presunta oppressione di un altrettanto
presunto complotto giudaico-comunista-massonico. Liberi da una
Repubblica di Weimar ritenuta corrotta ed inefficiente. Liberi da un
mondo intellettuale lontano dalla kleine Leute. Liberi, in un contesto
velleitario di autarchia economica.
Il legame di sangue divenne
una forma di rassicurazione, un modo per creare una nuova Deutschtum,
che doveva promuovere le virtù non intellettuali e proteggere il Paese
dalle minacce esterne. Il Reich andava purificato, e lo studioso o il
letterato non erano più persone fidate e rispettate, ma diventavano
oggetto di sospetto e risentimento. Come non fare un paragone con il
presente? In molti paesi, lo stesso euroscetticismo si traduce nel
desiderio di liberarsi dagli impegni comunitari e ritrovare una
probabilmente illusoria libertà.
Solo gradualmente, il regime
nazista divenne autoritario e liberticida, sancendo «una separazione tra
il governo e la sua popolazione». Senza accorgersene i tedeschi
«sprofondarono in un mondo di odio e di paura, e chi odia e teme non si
rende neppure conto di odiare e di temere; quando tutti sono
trasformati, nessuno è trasformato», scrive Mayer. L’autore chiese ai
suoi interlocutori perché questi non reagivano alle violenze crescenti.
La risposta era che non vi era nichts dagegen zu machen, non vi era
nulla che si potesse fare.
In realtà, quanto più gravoso è il
sentimento di responsabilità di ciascuno di noi dinanzi a un evento,
tanto più avremo la tentazione non di respingere ogni responsabilità,
bensì di negarne la sua stessa esistenza. La spiegazione che l’autore dà
del comportamento dei tedeschi dinanzi ai primi segnali di una
uccisione sistematica degli ebrei è convincente, e può essere applicata
oggi ad altri fenomeni politicamente più modesti e spesso tragicomici, a
iniziare dalle ruberie quotidiane di cui siamo tutti in un modo o
nell’altro testimoni. In fondo, in entrambi i casi, le ragioni sono da
ricercare nella crisi della democrazia rappresentativa e nella
sensazione diffusa che non tutti sono uguali di fronte alla legge.
Il
libro di Mayer contiene non pochi moniti, soprattutto quando l’autore
spiega che all’ascesa di Hitler contribuì anche la paura molto tedesca
dell’accerchiamento, della «pressione esterna». Il Paese è stato
definito nel tempo dalle invasioni nemiche, in modo non dissimile
dell’Italia. Il Führer cavalcò questo sentimento nel prendere il potere a
Berlino. Anche ai giorni d’oggi c’è chi evoca continuamente la minaccia
esterna per rafforzare il proprio ruolo politico.
They Thought They Were Free. The Germans 1933-1945
Milton Mayer
University of Chicago Press,
Chicago (1a ed. 1955), pagg. 378, 20